Creato da Chris Cæsar, Jack Cæsar e Morgan Finley e pubblicato nel 2024 da Cæsar Ink., Doomsong è un gioco di ruolo da tavolo indipendente che rifiuta le facili etichette. È un canto di morte, una preghiera eretica, una profezia vivente. Non esiste ancora una traduzione italiana di questo manuale, ma il testo inglese che lo compone è già di per sé un’opera letteraria: barocco, spietato, evocativo. Ispirato ad una Bibbia post-apocalittica in decomposizione, Doomsong non offre consolazioni, solo l’opportunità di gridare contro un mondo che si sta sbriciolando.

Nel mondo di Painyme, Dio è morto. Non in senso metaforico, ma reale: il Divino Creatore è stato assassinato, il suo cadavere adorato da una chiesa decrepita mentre gli dèi traditori e blasfemi si contendono i resti dell’esistenza. Il sole splende con malizia, la luna, l’Ossein Moon, veglia sulle tombe che non vogliono più rimanere chiuse. I morti si alzano, i santi sono corrotti, i miracoli sono eretici. In questo scenario, i personaggi sono membri di una Gilda: non eroi, ma esseri umani macchiati, marginali, redenti a malapena, chiamati a scavare tombe, spezzare riti o soltanto sopravvivere per qualche ora in più.
Il manuale si apre con una Introduzione che stabilisce subito il tono: questo è un gioco cupo, brutale, ma intessuto di poesia nera. Seguono le prime sezioni dedicate al setup del gioco, in cui il Game Master può scegliere se organizzare una Cronaca (campagna), una One-shot, o una Guild Marches, modalità simile alle West Marches in cui più giocatori e master si alternano in sessioni episodiche che condividono un mondo sandbox coerente. Tutto parte dalla Gilda: essa è il cuore pulsante del gruppo e del mondo, registrata su una apposita scheda (Guild Sheet) dove si segnano gerarchia, risorse, alleanze e reclute.

La creazione del personaggio è un viaggio narrativo a sé stante. Attraverso i Life Paths, il giocatore non sceglie, ma scopre chi è stato, che traumi ha vissuto, cosa ha perso, cosa ha ereditato. Si parte dall’Origine (Casta dei bassifondi, contadino, fondiario, ecc.) e si prosegue in una sequenza di scelte e tiri di dado che plasmano storia, tratti, abilità e persino ferite e follie. È un metodo organico, quasi letterario, che rifiuta gli archetipi tradizionali a favore di biografie sporche, credibili, frammentate.
I tratti sono narrativi e meccanici insieme: un personaggio può essere Beastwise (bestiale), Wracked (devastato), Reckless (spericolato), Haunted (infestato), ognuno con effetti che influenzano sia il gioco che l’interpretazione. Le abilità speciali si ottengono spesso tramite la pratica dell’eresia, poiché la magia, in Doomsong, è sempre un crimine. Le Sublime Heresies e le Dread Heresies permettono di piegare la realtà, ma al prezzo della propria anima, o peggio ancora della propria carne.

Le regole di gioco vere e proprie sono spiegate con cura nella sezione Rules. Il sistema si basa sul tiro di D6, con modificatori, e un meccanismo centrale chiamato Check: si tira un dado (o due, in caso di prove “focused” o “hasty”) e si confronta il risultato con una difficoltà. Il tutto è completato da un oggetto totemico: la Doomcoin, una moneta che rappresenta il destino. Ogni azione critica può richiedere il suo lancio: se esce la faccia crest si ottiene il successo, skull per la rovina. È un sistema semplice ma letale, pensato per spingere una narrazione fluida e per mantenere la tensione costante.
Il combattimento è orribilmente dettagliato: colpi che lasciano cicatrici permanenti, arti tranciati, occhi cavati, traumi psicologici. Ogni attacco può infliggere ferite specifiche in base al tipo di danno e all’entità del colpo. Non esiste “perdere qualche PV”: qui si perdono denti, amici, e forse anche la sanità mentale. La morte è frequente e prevista dal sistema: ma come accade nei migliori giochi narrativi, la morte stessa è un’opportunità per far evolvere il mondo di gioco.
Segue una sezione ampia dedicata all’equipaggiamento, agli oggetti maledetti, agli artefatti delle Ere passate, e ai sistemi di viaggio e sopravvivenza. Anche mangiare, dormire, medicarsi o gestire il tempo (tramite il Calendar of Painyme) sono atti carichi di rischio e conseguenze.
La parte più intensa del manuale è forse quella intitolata Heresy. Qui il gioco si tinge di teologia deviata, filosofia grottesca e mitologia invertita. I Foundational Stories narrano la creazione e la distruzione del mondo, mentre gli dèi, i Traitor Gods, sono divinità ambigue, affascinanti, spaventose. La fede è un’arma a doppio taglio, e la Chiesa del Cadavere Divino un colosso burocratico e inquisitorio che cerca di mantenere un ordine ormai privo di significato. Le abilità occulte, in questa sezione, diventano veri e propri atti di poesia oscena: evocare un dio, infettare un territorio, vedere attraverso gli occhi dei vermi.

La parte finale del manuale esplora in profondità il mondo di Painyme. I capitoli su History, Nations e Institutions costruiscono un continente decadente ma coerente, dove ogni regione ha i suoi culti, le sue piaghe, le sue guerre sante. Qui i Templari e le Wyccefinders danno la caccia agli eretici con zelo apocalittico, mentre i borderkingdoms cercano di non affondare tra rivolte e pestilenze. Il tono resta cupo, ma incredibilmente vivido: è difficile non sentirsi parte di questo mondo, anche solo leggendo.
La sezione Allies & Adversaries è un bestiario gotico degno di Poe e Barker: esseri deformi come gli Opiri, i Goutspawn, i Nattmara o gli Ylfe, che sembrano nati dai peggiori incubi febbrili. Alcuni sono mostri, altri solo umani disperati. Ogni creatura ha una descrizione evocativa, un impatto meccanico e un potenziale narrativo. Nulla è solo “da combattere”: tutto può diventare parte di una storia.
Chiude il manuale una sezione dedicata alla flora, agli oggetti casuali, agli incontri imprevisti ed infine un indice accurato, chiara dimostrazione della volontà di rendere fruibile un libro che, pur nella sua opulenza stilistica, vuole essere giocato tanto quanto ammirato.
Doomsong non è un gioco “facile”. È un’esperienza che chiede ai suoi partecipanti coraggio, creatività e una certa tolleranza alla disperazione. Ma chi accetta il patto con questo manuale, splendidamente illustrato, dolorosamente scritto e geniale nel design, riceverà in cambio qualcosa di raro: una vera immersione in un mondo che pulsa, grida, supplica e canta. Non un’ode all’eroismo, ma un requiem per chi osa sfidare l’inevitabile. In un mondo dove la luce è solo un riflesso sul sangue, Doomsong ti sfida a sopravvivere, ma soprattutto, ti invita a lasciare una cicatrice.
*Copia digitale del manuale fornita dall’editore in cambio di una recensione onesta