Le imperfezioni sono quelle che rendono interessanti gli esseri umani; variazioni da un modello estetico, differenze di pensiero relative alla cultura dominante, fallimenti.
Vale lo stesso per i videogiochi o siamo abituati a ricercare in questi la perfezione degli archetipi di riferimento?
Questa è la prima domanda che mi è venuta in mente mentre cercavo di mettere in ordine i pensieri circa Steel Seed, l’ultima fatica del team italiano di Storm in a Teacup, e le risposte stanno faticando ad arrivare, per quanto il tema sia sicuramente interessante.
Per ora in ogni caso cominceremo a parlare del titolo, e del perché un viaggio così imperfetto sia comunque importante.
Sviluppato appunto da Storm in a Teacup e reso disponibile su PlayStation 5, Xbox Series X/S, Nintendo Switch e PC lo scorso 22 aprile, Steel Seed vuole essere un approccio nuovo dello studio di sviluppo italiano verso il genere action stealth, non sempre riuscendo.
La storia ci mette nei panni di Zoe, una ragazza che si trova inizialmente sdraiata su un minaccioso tavolo operatorio come oggetto di una strana operazione da parte di suo padre, e successivamente si sveglia, sembrerebbe millenni dopo, con un corpo in grande percentuale cibernetico e tutta una serie di capacità decisamente superumane.
Facendosi strada attraverso una struttura futuristica automatizzata, viene in contatto con S4vi, una IA che le spiega come l’umanità sia finita a causa dell’attualissima crisi climatica e disastri ambientali associati. Per questo motivo il Dottor Archer, il padre di Zoe, ha avviato un programma di intelligenze artificiali con il compito di difendere alcuni umani ibernati, i Seed, e risvegliarli una volta che il pianeta fosse tornato abitabile.
Il programma di rinascita però, come ci spiega S4vi, è attualmente bloccato in quanto ad attivarlo deve essere proprio il Dottor Archer, che per sopravvivere al passaggio delle migliaia di anni ha caricato la sua coscienza su 4 diversi server sparsi per la struttura dove ci siamo svegliati, e aspetta che questi quattro frammenti vengano riuniti così da poter guidare l’umanità ad ereditare nuovamente la terra.
La missione è quindi chiara: Zoe dovrà recuperare questi quattro frammenti e riportarli a S4vi, per poter salvare umanità e suo padre in un colpo solo; per farlo sarà accompagnata attraverso la struttura dal piccolo drone Koby che, sebbene venga accolto dalla protagonista con freddezza sin dal primo istante, tempo un paio d’ore e sarà il nostro migliore amico e compagno d’avventura. La solitudine fa questo e altro.
La storia di per sé non è in ogni caso il fiore all’occhiello del titolo: i personaggi sono assai semplici, le loro linee di dialogo sono caratterizzate di conseguenza e anche i vari colpi di scena che costellano la trama sono assolutamente indovinabili dopo poche ore di gioco.
Sebbene le tematiche quali il post-umanesimo, il potere effettivo delle IA, la differenza tra uomo e macchina e l’attenzione ambientale siano tutte assolutamente valide e meritino di essere esplorate, Steel Seed, attraverso la sua storia fin troppo semplificata, riesce solamente a proporle sul tavolo, ma mai a sviscerarle in maniera stimolante per un pubblico adulto e maturo.
Certo per i giocatori più giovani la proposta di queste problematiche sarà assolutamente più fruibile e strutturata, tanto che viene da chiedersi quale sia effettivamente il target di età che aveva in mente Storm in a Teacup quando ha steso la sua narrazione.

Steel Seed quindi pone queste basi per la sua avventura, e ci invita ad avere esperienza di un gioco dalla formula genuinamente semplice e divertente: mentre perseguiamo il nostro obiettivo ci faremo infatti strada attraverso quattro macro aree che circondano il la sala dove alberga S4vi, ognuna di queste caratterizzata da un determinato tipo di ambientazioni (tutte piacevolmente diverse tra loro) e popolata da robot di pattuglia che avremo il compito di eliminare o superare sulla strada per raggiungere i frammenti del Dottor Archer.
La progressione attraverso questi ambienti avviene attraverso percorsi assolutamente lineari costellati di varie classi di collezionabili e approfondimenti sulla storia in modo tale da rendere l’esplorazione ghiotta oltre che dinamica grazie alle folte sequenze di parkour.
In queste aree saranno poi naturalmente presenti nutrite schiere di nemici, che potranno essere approcciate tramite combattimento diretto o approccio furtivo: il secondo sembra essere più indicato anche in virtù della natura del titolo, in quanto un’uccisione furtiva sarà quasi sempre one shot, mentre i combattimenti “a viso aperto” presteranno il fianco alla possibilità di venire sconfitti con più facilità vista la poca consistenza della barra di salute di Zoe e la superiorità numerica che spesso i nemici concretizzano.

Dal punto di vista tecnico, Steel Seed offre purtroppo nuovamente il fianco: sviluppato su Unreal Engine, il titolo offre un impatto visivo comunque sempre piacevole grazie ad ambientazioni più brillanti che interessanti e un sistema di luci e illuminazione che regala grandi soddisfazioni. Al netto di questo però sono stati fin troppi, nel corso della nostra esperienza su PS5, i glitch che abbiamo trovato: Zoe infatti sembra soffrire spesso di momenti in cui si ritrova compenetrata col terreno, specie dopo aver salito un gradino, e subire delle prese da parte di particolari nemici ci farà sbalzare in maniera del tutto innaturale a diversi metri dalla nostra posizione, senza una motivazione fisica.
A questo si aggiungono poi tutta una serie di bug sul sistema di trofei di PS5 che, sebbene possa importare solo ad una fetta di giocatori, al momento in cui si scrive questa recensione preclude il platino a tutti i “cacciatori di trofei”.
Alcune situazioni sono già state tamponate da una prima patch correttiva da parte degli sviluppatori, ma per rendere il meccanismo perfettamente oliano è evidente che altre saranno necessarie.

In conclusione, Steel Seed appare come un progetto interessante e imperfetto, frutto della visione di uno studio di sviluppo che ha avuto il coraggio di proporsi attraverso una nuova idea e che non sempre ha fatto centro sebbene certamente il titolo sia valido e lungi da meritare una valutazione insufficiente.
Questo ci ricollega alla prima domanda che ci siamo posti, e di cui ancora non abbiamo una risposta oggettiva: l’imperfezione di un videogioco come Steel Seed aumenta il suo valore? O le screziature della sua forma sono solo da indicare con fare accusatorio?
Penso che a questo punto, per le linee di codice di un videogioco valga come per gli esseri umani: non si tratta solo di pregi o difetti, ma di caratteristiche: ogni gene del nostro DNA ci definisce per gli esseri viventi che siamo, e ogni frame definisce un videogame per quello che è: un’idea, un’espressione o una forma d’arte. Buona o cattiva che sia ha diritto di esistere, essere apprezzata da qualcuno e disprezzata da qualcun altro.
Come noi.
*Verrsione Testata: PS5, grazie al codice fornito dal publisher