Partiamo dalla breve intro di 13 Reasons Why, prendiamoci un secondo per analizzarla, cerchiamo di capire come sia cambiata nel corso delle quattro stagioni prodotte da Netflix.
La prima Intro è perfettamente coerente con la prima stagione, centrando in maniera semplice ed efficace tutte le tematiche nevralgiche del primo ciclo di episodi, rilasciati il 31 Marzo 2017 dalla nota piattaforma.
La trama ruota intorno alla vicenda che coinvolge il suicidio di Hannah Baker, la quale, prima del gesto, ha registrato 13 audiocassette dove spiega alle persone da lei ritenute responsabili del suo crollo perché si è tolta la vita.
La intro ci mostrava quelle esatte ragioni, mettendo strategicamente oggetti che sono chiave nella narrazione: le cassette, la bicicletta, un’auto che viaggia di notte, i popcorn, la pistola, una macchina fotografica. Tutto viene rappresentato come se fosse realizzato su una lavagna e questo ci fa entrare nella sfera adolescenziale che coinvolge i protagonisti. Già dalla seconda stagione, iniziamo a vedere come tutto cambi, i disegni scelti come temi chiave trasudano confusione, la cassetta diventa le ruote di un’automobile, i disegni sono molti di meno e quello che era il tema centrale della cassetta, diventa una macchina fotografica Polaroid. Nell’intro della terza stagione la confusione aumenta, inserendo una moltitudine di oggetti (chiave?) in più, molto fuori contesto, per arrivare alla quarta stagione dove tutta la componente visiva viene tolta, in funzione di una lavagna sgombra dove appare solo il titolo della serie.
Ho fatto questa introduzione relativa al Title Design di questa serie Netflix un po’ per una personalissima deformazione professionale, un po’ perché queste intro sono la chiara metafora di come questa serie sia in assoluto il peggior buco nell’acqua di Netflix. Da queste quattro versioni della stessa sigla, vediamo la confusione degli autori nel proseguire una storia troppo circoscritta nell’evento portante della prima stagione. Il titolo della serie è Thirteen Reasons Why, che sono i tredici motivi per cui Hannah Baker si è suicidata: proprio il titolo è il primo limite di questa serie che già vincola completamente il racconto a un solo arco narrativo. Così come le animazioni della sigla che sono troppo centrate su questo titolo e su questa storia, la trama stessa rimane troppo legata.
UN BRODO TROPPO ALLUNGATO
Non c’era modo per proseguire questa serie, le vite di questi protagonisti al di fuori del suicidio di Hannah Baker, non erano così interessanti da destare una curiosità nel vederle proseguire.
E infatti, di conseguenza, Hannah Baker resta un gigantesco “fantasma” onnipresente nella serie, anche successivamente alla dipartita di Katherine Langford. Hannah rimane il fulcro e l’origine degli eventi per tutto il corso delle quattro stagioni anche se assente in maniera fisica.
Emerge da questo il primo grande deficit della serie che è l’incapacità degli autori, nel gestire trame e sottotrame, personaggi primari e secondari. Si prendono troppo sul serio, non riuscendo a collocarsi in un genere, tutte e quattro le stagioni infatti sembrano appartenere a quattro serie diverse e completamente sconnesse tra loro. Se tra le prime due stagioni l’incastro sembrava reggere bene, (anche se l’idea di una forzatura era già evidente) nella terza e quarta tutto sembra un completo caos di tempi e sceneggiature completamente sbagliati, pessima regia, recitazione che molte volte va fin troppo sopra le righe, il tutto mal condensato a (pochi) momenti validi.
Thirteen Reasons Why, o come la conosciamo noi nel bel paese Tredici, è un prodotto che avrebbe potuto fare storia, forse se ne parlerà comunque negli anni, anche se non ne sono così sicura. La prima stagione che ci piaccia o no, offriva una dinamica narrativa nuova e molto interessante ed era un eccellente lavoro di adattamento del romanzo di Jay Ascher. La storia ci veniva raccontata da un narratore inaffidabile e la scoprivamo piano piano insieme al protagonista Clay. Prendeva tematiche stereotipiche dei teen drama e rimescolandole in un dramma avvincente ed emozionante, inserendo qualcosa che non eravamo abituati a vedere come la crudeltà del bullismo nella sua forma più schietta e senza fronzoli.
Per carità, non sono qui per dire che questa serie sia un capolavoro, l’influenza di ottimi predecessori come Skins o Veronica Mars hanno avuto il loro peso nella riuscita di quella prima stagione così buona e distrutta da un seguito non all’altezza. Nella prima stagione, gli sceneggiatori hanno creato un incastro e una narrazione coerente e funzionanti, perdendosi però in un finale che voleva a tutti i costi aprire le porte a una seconda stagione non necessaria.
Ed è qui che veniamo al punto. Non era necessario continuare Tredici, perché tutto ciò che segue gli eventi della prima stagione è perfettamente immaginabile senza necessità di essere mostrato. Non era necessario farci vedere il processo, non era necessario continuare a mostrarci i personaggi tormentati da questo evento o di come la loro vita prosegua, non ci serve a tutti i costi sapere che ci sarebbe stata (o non) una giustizia per Hannah Baker. Questo lo spettatore lo può benissimo immaginare, non ha bisogno di vederlo.
La storia aveva esaurito tutte le argomentazioni con la prima stagione, il resto che abbiamo visto non è importante, è solo un monologo monotematico, prolisso e scritto male.
La percezione che ci arriva come un violento pugno in faccia è che Thirteen Reasons Why sia un prodotto noncurante del pubblico, ideato solo per generare capitale per la nota multinazionale che l’ha prodotto.
Netflix ha offerto fondamentalmente denaro a gente incapace di sceneggiare e di tirare avanti qualcosa che era impossibile da proseguire. L’opera ne è risultata completamente distrutta e snaturata in tutta la sua essenza. Quella marcia in più che l’aveva posizionata in alto nel genere adolescenziale è stata completamente sradicata dal desiderio di generare introiti. Mi ritrovo a dire che, purtroppo, capisco l’esigenza. Ma forse presentare questo prodotto come una miniserie sarebbe stato un colpo vincente che sarebbe perdurato negli anni.
L’INENARRABILE DISASTRO DELLA TERZA E QUARTA STAGIONE
La terza stagione sbaglia qualsiasi approccio al pubblico con tredici episodi di scelte sbagliate, replicando lo schema vincente della prima stagione del narratore inaffidabile, messo in un plot sconclusionato che fa acqua da tutte le parti. Il primo errore è quello di umanizzare Bryce Walker, quando nelle prime due stagioni è stato fatto un gigantesco sforzo per renderlo un villain senza scrupoli, per poi farlo morire nei primi due episodi, cercando di creare un giallo dietro il suo omicidio che sembra fare da sfondo a non si sa bene cosa. Gli autori vogliono creare empatia con Bryce, ed è il primo grande errore che contraddice il percorso fatto finora. La gestione del thriller non veicola alcuna emozione, non c’è tensione nel racconto, non si capisce quale sia il tema cardine, quale sia la riflessione etica e morale da porre al pubblico.
Nella prima stagione lo spettatore viene portato a riflettere sulle gesta di Hannah Baker, ha fatto bene a mandare le cassette? Ha fatto male? Era una persona con dei disturbi? Era una vittima? Alcune delle motivazioni forse non erano troppo esagerate? Aveva ragione su tutto? La sua versione è davvero la verità dei fatti?
Mi sono ritrovata spesso a fare ragionamenti sull’agire di Hannah Baker, ne ho parlato spesso anche con amici o sconosciuti, ho letto opinioni in merito su internet e il fatto che se ne sia parlato tanto di quella oramai lontana prima stagione ci dice chiaramente che l’obiettivo è stato raggiunto. Netflix aveva fatto centro con un prodotto incisivo e graffiante. Il caos mediatico che mise in moto fu qualcosa di mai visto, a partire dagli spiacevoli episodi di cronaca nera che simulavano le gesta del personaggio, con conseguente scelta da parte di Netflix di rimuovere l’ormai celebre scena del suicidio. La serie voleva sconvolgere il pubblico e c’era riuscita, la prima stagione di Thirteen Reasons Why ti arriva come un treno in corsa sul piano emotivo, sia che lo si possa vedere con distacco, sia che ci si possa entrare dentro.
Le stagioni successive perdono tutto ciò, perdono di senso, di creatività, rimangono incollate a una prima stagione troppo predominante e ne restano una copia malriuscita, tentano di sfuggirle a tutti i costi spaziando in altri generi ma sbagliando tutto, risultando a tratti cringe, con violenza gratuita, trash involontario, dialoghi insensati, vuoti, risvolti narrativi che non si incastrano ma che anzi risultano estremamente forzati.

UN GIGANTESCO FUOCO DI PAGLIA
Concludo ricordando alcune interviste a David Lynch dove dichiarò che lui non avrebbe mai avuto intenzione di rivelare l’assassino di Laura Palmer nella sua celebre serie “Twin Peaks”. Rivelare quel mistero avrebbe rovinato completamente il flusso degli eventi e l’affezione che aveva il pubblico con la serie.
Twin Peaks ruotava intorno a quel mistero e districare quel nodo avrebbe fatto perdere l’attenzione del pubblico. Che sarebbe dovuto rimanere incollato e fedele a quell’idea di partenza, così da voler approfondire altri aspetti e altre storie. Laura Palmer era il premio finale, però ci sarebbe arrivati dopo aver visto il resto. Questo è il punto di partenza per la più grande svolta nella storia delle serie televisive. Lynch ci disse una grande verità: per fare una buona narrazione devi avere qualcosa che fidelizzi il pubblico, che lo tenga con te per tutta la durata dello show.
L’errore che ha più tormentato Thirteen Reasons Why è stato quello di svelare l’assassino della sua Laura Palmer nella sua prima stagione e di aver avuto la pretesa che il pubblico rimanesse lì a guardare se c’era altro per altre tre stagioni.
Il punto è che “Tredici” non è Twin Peaks, e gli autori non sono David Lynch e Mark Frost, e che quindi ci dimenticheremo molto facilmente di questa serie che poteva essere qualcosa, ma si è suicidata insieme ad Hannah Baker.