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Best of 2019: Tre Lame che tagliano l’Anima – di Pietro “Pido” Ferri

6 Gen 2020 | Speciali, Nintendo Switch, PC, PlayStation 4, PlayStation 4 Pro, Videogiochi, Xbox One, Xbox One X

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Il 2019 è stato un anno di enorme interesse dall’inizio alla fine, e non solo per l’ambito videoludico.

Come doveroso per i 365 giorni che deve chiudere il decennio, questo periodo ha regalato incredibili perle agli ambiti artistici a 360 gradi: musica, arti visive in genere e chi più ne ha più ne metta.

Quella che riporto di seguito è la mia personale classifica dei tre titoli in ambito videoludico che ho preferito quest’anno, alla quale però anticipo qualche nota alla lettura: si tratta qui dei progetti che non solo mi hanno colpito a caldo, ma di quelli che, dopo una riflessione a mente fredda, mi rendo conto mi hanno lasciato qualcosa.

Ovviamente ad essere presi in considerazione sono quelli che ho giocato personalmente, quindi se in classifica non figurerà qualche mostro sacro o comunque qualche prodotto ritenibile oggettivamente più valido, ci sarà da tenere conto anche di questo, a lato del fatto che di oggettivo non esiste nulla, e che una classifica personale non sarà mai una foto della verità relativa ad un periodo di tempo.

Direi di cominciare.

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3° Posto: Kingdom Hearts 3

Pur trattandosi di un podio molto “stretto”, sul quale già il solo presenziare risulta una vittoria, potrebbe sembrare strano trovare sul gradino più basso Kingdom Hearts 3.

L’ultimo capitolo della saga omonima infatti è davvero uno di quelli che prima venivano dessi mostri sacri, e nonostante nella mia testa abbia lottato strenuamente fino all’ultimo momento per accaparrarsi il secondo posto, lo ritrovo a battaglia conclusa al terzo.

Kingdom Hearts 3 è un capolavoro che ho atteso come molti per anni, preparandomi al momento della sua uscita come una novella sposa si prepara per salire sull’altare: il suo Day One mi sono precipitato a prendere la mia copia e ho cominciato a vivere l’esperienza proposta dal titolo nella maniera più affamata possibile, senza mai essere sazio di viaggi nei mondi Disney e battaglie contro le forze della più nefasta oscurità. Ho vissuto il capitolo conclusivo di una (parte di) saga epica, e ho goduto di ogni istante, arrivando sul finale ad avere gli occhi un bel po’ più che lucidi, trascinato dalle tinte dolceamare che Square Enix aveva dipinto per me.

Totalmente nella mia dimensione, tra cura estetica, profondità di trama e ELSA DI FROZEN, ben di rado ho apprezzato a tal punto un’esperienza di gioco.

Kingdom Hearts 3 è stato in quel momento come una promessa mantenuta dalla persona che si ama e che si aspetta da tempo.

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Col passare dei mesi, a determinare solo il terzo posto per quello che è comunque un inestimabile capolavoro però è stato il modo in cui quelle fortissime emozioni si sono cristallizzate dentro di me. Da una parte infatti il ricordo dell’esperienza oggi indugia sulla battaglia finale con Xehanort, la risoluzione del suo personaggio, la colonna sonora di Scala Ad Caelum, le rivelazioni su Luxu e altre miriadi di brillanti perle. Da un’altra parte però sono affiorati a freddo dei dettagli che al momento non mi sono reso conto quanto fossero limitanti all’interno del titolo, primo su tutti la serie di showdown con i membri dell’organizzazione XIII nel labirinto del Keyblade Graveyard, troppo sbrigativa e delegittimante ogni avversario a causa del poco spazio a lui concesso dalla sceneggiatura, che correva veloce sul nemico seguente.

Per stilare questa classifica negli scorsi giorni ho davvero spento il cervello e acceso solo il cuore, così che questi potesse essere la mia chiave guida e mi portasse a questa decisione.

Ora però a onor del vero quello stesso cuore ha già ripreso a galoppare in preda all’hype, in attesa dell’ormai prossimo DLC in arrivo per l’opera di Square Enix e Disney. RE-Mind mi darà l’occasione per riprendere una nuova run su KH3 e rivivere tutto quanto con uno sguardo nuovo e una bruciante curiosità su tutti gli approfondimenti che l’espansione porterà, e di questo non vedo l’ora.

Come ad utilizzare la pericolosa arte del risveglio per salvare i cuori sprofondati nell’abisso, io come molti altri siamo pronti a tuffarci in quest’ultimo, per respirare a pieni polmoni le emozioni dell’universo di Kingdom Hearts ancora più di prima.

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2° Posto: Oninaki

Sul secondo gradino del podio, va Oninaki, di Tokyo RPG Factory.

Si tratta in questo caso di una grande sorpresa anche per me, perchè certamente avevo apprezzato il titolo già al tempo della sua release, come ebbi modo di argomentare nella mia recensione, ma non avevo neanche sospettato di come questo avesse sedimentato in profondità dentro di me fino al momento in cui ho chiuso gli occhi e tirato le fila di questo 2019.

Oninaki è una fiaba triste che è un balsamo ascoltare prima di andare a dormire. È un bacio freddo che appoggia tutto il potere di un sentimento potente come l’amore sull’orlo di una voragine di vuoto esistenziale.

A essere toccati dagli sviluppatori sono temi come la morte e il senso stesso della vita a fronte di questa, ma trattate così come sono all’interno del titolo, queste che dovrebbero essere frustate all’anima vengono percepite solo come carezze che privano di sicurezza, solo per chi presta attenzione.

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Questo strano JRPG porge un pugnale affilato, ma suggerisce solo in maniera velata al giocatore di affondarselo in gola, per sentire il sangue caldo che lo bagna un’ultima volta ed essere pronto a rinascere con una nuova consapevolezza, tante domande e una diversa visione di tutta quella baracca che chiamiamo Vita.

Per giocare al titolo di Tokyo RPG Factory servono un controller e tanta sensibilità, poiché senza il primo non sarebbe un videogioco, e senza la seconda non sarebbe Oninaki.

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1° Posto: Sekiro: Shadows Die Twice

Sekiro, tra tutti, è il gioco a cui penso se mi chiedo cosa io abbia preferito del 2019.

Non ho avuto nessun tipo di hype per il progetto di From Software, e sin dal suo annuncio non ho seguito in minima parte le news che si sono susseguite ad anticipare il lancio. Ho preso la mia copia al Day One, ma l’ho inserita nella console solo almeno una settimana dopo.

Giocando però ho avuto un’esperienza diversa da tutte le mie precedenti: a spingermi a proseguire nel viaggio attraverso le battaglie a dir poco ardue è infatti stato un orgoglio che come persona non ho mai messo in campo in nessuna situazione della mia vita.

Volevo riuscire ad avere ragione di ogni battaglia perché mai come prima avevo raccolto la sfida. Dovevo riuscire per potermi dire soddisfatto, e alla fine lo sono stato.

Certo ci è voluto sudore, abnegazione, sopportazione, fatica. Ho passato dei pomeriggi immobile in posizioni da indurre al suicidio ogni ortopedico, mentre osservavo i miei nemici muoversi contro di me durante l’ennesimo ventitreesimo try. Ho sopportato la frustrazione di ogni colpo che subivo, mentre imparavo sulla mia pelle i movimenti dell’avversario, affinavo contromosse, prendevo le misure.

Alla fine i titoli di coda hanno sciolto ogni tensione, ho buttato la testa all’indietro e ho riso di gusto.

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Ad essermi rimasto impresso di Sekiro però non è solo questo. Ad oggi ricordo l’opera si per il tipo di esperienza ludica che mi ha regalato, ma anche e soprattutto per le atmosfere in cui mi ha cullato mesi fa, e che ancora riesco a risentire mie anche oggi.

Potente nelle sue tematiche quanto delicato nel portarle a schermo, Sekiro riesce a far percepire contemporaneamente l’incalzare della guerra, il mistero di un fantasy sempre discreto e un senso di pace e compitezza dono della via della spada giapponese.

Chi vi parla di Sekiro solo come “Il gioco difficile” non è stato in grado di cogliere metà del Tao. È destinato alla sconfitta.

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Si conclude in questo modo la mia personale classifica, frutto di una altrettanto personale riflessione e che ha come obiettivo non tanto quello di porsi come verità assoluta a cui assoggettare le masse, quanto quello di portare un minimo di attenzione su quelle che sono le opere che, si, hanno contraddistinto il mio anno di videogiocatore.

Con gli auguri per un 2020 ancora migliore di quello passato, sotto tutti i punti di vista, il vostro gradevole Pido vi augura buone feste.

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Pietro "Pido" Ferri

Deputy Editor di Serial Gamer, viaggia per i Videogames, si guarda in giro, fa foto, respira l'aria. È un po' come un turista, ma nel senso buono. Si interessa con dedizione all'approfondimento di qualunque forma d'arte che riesca a trasmettergli emozioni

Pietro "Pido" Ferri

Deputy Editor di Serial Gamer, viaggia per i Videogames, si guarda in giro, fa foto, respira l'aria. È un po' come un turista, ma nel senso buono. Si interessa con dedizione all'approfondimento di qualunque forma d'arte che riesca a trasmettergli emozioni

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