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Yonder: The Cloud Catcher Chronicles – La Poesia di Viaggiare con un Alce Grasso – Recensione

21 Lug 2017 | Recensioni Videogiochi, PlayStation 4, PlayStation 4 Pro, Recensioni

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Vaste distese erbose, dolci colline baciate dal sole e impervi picchi innevati era ciò che fin dai primi trailer Yonder: The Cloud Catcher Chronicles aveva mostrato ai giocatori, promettendo un titolo in grado di ammaliare e divertire grandi e piccini, offrendo ai primi una sfida accattivante e impegnativa e ai secondi tutto il necessario per immergersi in un mondo fatato e sognare come solo i bambini sanno fare.

Atteso con insolito interesse e curiosità dalla critica e dal pubblico, pochi giorni fa il gioco è stato finalmente reso disponibile: l’opera d’esordio degli sviluppatori del team Prideful Sloth è dunque approdata sotto gli occhi di tutti pura e totale, scevra dal peso di ogni commentino più o meno tagliente che lo definiva la copia “prêt à porter” dell’ultimo capitolo della ben più blasonata saga di Link: The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Yonder: The Cloud Catcher Chronicles infatti mostra ora a dispetto di tutti i malparlieri un carattere unico e ben distinto e una maturità davvero notevole per essere un primo progetto di uno studio di sviluppo. In questa sede cercheremo di analizzare approfonditamente la natura del titolo, i suoi punti di forza e i suoi talloni d’Achille.

Yonder: The Cloud Catcher Chronicles

SBARCO A GEMEA

La Storia narrata in Yonder: The Cloud Catcher Chronicles ha il suo incipit con il rocambolesco arrivo del nostro protagonista sulle coste della terra di Gemea per mezzo di una nave: si tratta di un vero e proprio naufragio avvenuto in seguito ad una tempesta di fulmini, che funge da perfetto medium narrativo per introdurre sia il giocatore sia il personaggio che andrà a impersonare ad un mondo totalmente nuovo, pieno di promesse e sorprese. Ha poca importanza dunque quale sia il nome del protagonista al momento, poiché il processo di identificazione di quest’ultimo con l’utente è volto a concentrare l’attenzione sull’approccio di noi ad una nuova terra, permettendo così a quest’ultima di poterci stupire con ogni suo aspetto.

Il gameplay che a questo punto il titolo propone è basato quasi totalmente sull’esplorazione. La main quest che ci viene affidata infatti si rivela essere brevissima, profonda ma allo stesso tempo fruibile a qualunque età e divertente da vivere, con l’unico difetto di interrompere un climax di eventi e tematiche trattate in maniera brusca sul finale, probabilmente a causa del fatto che si tratta pur sempre di un gioco Pegi 3, dove i concetti di morte e sacrificio non possono giustamente essere sviscerati in una maniera approfondita a sufficienza da farne una ballata epica.

Resta dunque da godersi il piatto forte che Prideful Sloth serve sul tavolo: oltre infatti ad un comunque interessante sistema di farming di molteplici materiali e crafting che saranno fondamentali per il completamento del gioco al 100%, la portata principale è proprio il viaggiare per la Terra di Gemea: lo spostarsi sulla mappa infatti è l’esperienza più d’impatto di tutto il titolo, grazie alla varietà delle ambientazioni, alla necessità di andare a caccia di risorse e al piacere che offre lo scoprire nuovi luoghi e punti di interesse.

È infatti l’Esplorazione (con la E maiuscola) il punto di forza focale dell’intera opera, ed è proprio per questo motivo che il team di sviluppo ha operato la scelta interessante quanto coraggiosa di proporre al giocatore una mappa così forzatamente semplicistica: su di essa infatti non saranno segnati quasi mai i punti nei quali la nostra missione ci porterà (collezionabili compresi), ma solo quelli in cui risiede il nostro committente; trovare la giusta meta e raggiungerla sarà perciò nostro compito e permetterà al gameplay di evitare la noiosa feature tipica del genere GDR che prevede lo spostamento meccanico da un punto all’altro della mappa, l’interazione con un oggetto/nemico e il ritorno presso il luogo in cui ci è stato assegnato il qualunquistico incarico. Non sarà di conseguenza presente, in linea con le scelte operate da Prideful Sloth, alcuna possibilità di viaggio rapido, se non per mezzo di un debole surrogato che ci permetterà di spostarci (in maniera macchinosa) in radi e determinati punti della vasta mappa.

Yonder: The Cloud Catcher Chronicles

SULLE TRACCE DEL SIGNOR POLPETTONE

Un titolo che si basa così fortemente sulla componente esplorativa deve essere in grado di sfoderare un mondo di gioco interessante e godibile per un considerevole numero di ore di gioco, e Yonder: The Cloud Catcher Chronicles lo fa con una scioltezza disarmante.

Le ambientazioni proposte all’interno dell’opera sono come già detto poco sopra, varie e profondamente godibili, modificando completamente la morfologia del territorio di Gemea e creando zone collinari, pianure assolate, foreste di alberi simili a ciliegi e molti innevati o distese di ghiaccio perenne. Il viaggiare attraverso di queste si dimostra dunque un’esperienza magnifica grazie alla qualità con la quale sono ideate e rese a schermo con colori brillanti e luminosi. Grazie inoltre all’alternanza tra giorno e notte e col conseguente avvicendarsi delle quattro stagioni sul mondo di gioco, gli sviluppatori hanno potuto aggiungere ulteriore interattività e interesse ai territori, che vedranno modificarsi i loro aspetti in base alla stagione in cui ci si trova, e in alcuni casi addirittura aprirsi strade e possibilità che in altri periodi dell’anno o ore del giorno erano inaccessibili.

Gli ambienti illustrati con maestria sono poi pieni di colorati personaggi, caratterizzati in maniera giocosa, irriverente e scanzonata: in un mondo così brillante non stona dunque in nessun modo trovarsi a che fare con Billy il Bello e la sua spasimante che desidera ferventemente una folta barba per far colpo sul ragazzo, oppure dover andare alla ricerca del gruffolo (un animale simile ad un alce morbidamente sovrappeso) di nome Signor Polpettone seguendo la scia di cappelli a cilindro che il cervide (?) lascia dietro di sé. Ogni elemento dell’universo narrativo di gioco si dimostra ancora una volta stupefacente per la sua capacità di colpire giocatori di ogni età e allargare i cuori anche di coloro che si illudono di essere “troppo cresciuti” per questo genere di profonde opere video ludiche.

Yonder: The Cloud Catcher Chronicles

LUCI E SUONI ALL’OMBRA DELLO SPREMINUVOLE

Per quanto riguarda il comparto tecnico, Yonder: The Cloud Catcher Chronicles sfoggia un frame rate quasi sempre stabile e in grado di non inficiare in nessun modo con l’esperienza di gioco. I modelli poligonali di ambiente e personaggi sono volutamente semplicistici in linea con le scelte artistiche operate dal team di sviluppo e offrono un colpo d’occhio capace di stregare chiunque, basato sul potere dei colori vivi più che sul realismo: l’utilizzo infatti del motore grafico Unity è gestito in maniera superlativa, e sebbene qualche evidente carenza visiva concernente alle animazioni del personaggio, specie la corsa, il risultato finale è degno di molto più che la semplice sufficienza.

Come per la corsa, ad essere imprecisa è la meccanica dei salti e il resto della fisica del nostro personaggio, ma posti questi elementi in relazione con il resto del comparto artistico, è chiaro come queste piccole mancanze siano del tutto ammissibili, poiché conseguenza diretta di scelte precise operate in fase di sviluppo per concentrare l’attenzione dell’utente su ciò che davvero ha da esprimere il titolo in questione.

Il titolo, pur non avendo delle vere e proprie linee di dialogo da doppiare nelle varie lingue, gode della traduzione in italiano dei testi scritti, attraverso i quali i personaggi comunicano col protagonista e tra loro. Anche in questo caso, il lavoro svolto è di ottima fattura e le battute in italiano risultano lineari e fantasiose, riuscendo ad esprimere nella maniera corretta i concetti nella coerenza della cornice dell’universo narrativo scanzonato e arioso.

In ultima istanza, la colonna sonora di Yonder: The Cloud Catcher Chronicles, è di una qualità complessivamente buona, con alcuni brani inaspettatamente epici e maestosi che si alternano ad altri più goliardici e di accompagnamento; un problema potrebbe però essere la poca quantità dei suddetti brani, che durante le interminabili esplorazioni di Gemea, risulteranno alternarsi con troppa poca varietà rischiando di snervare più che annoiare l’intrepido pellegrino.

Yonder: The Cloud Catcher Chronicles

In conclusione, chi si aspettava un surrogato di The Legend of Zelda deve chiaramente fare appello alla sua onestà intellettuale e ricredersi completamente; Yonder: The Cloud Catcher Chronicles è un titolo simile a quest’ultimo solo per alcune scelte artistiche, ma completamente unico e a sé stante. Si tratta di un’opera magnifica e cosciente di sé, capace di regalare grande libertà al giocatore grazie alle meccaniche tipiche dell’open world pur ponendo delle regole precise, che non limitano minimamente l’utente ma gli permettono invece di godere appieno di ciò che l’opera ha da offrire. Yonder pone all’interno di un videogioco ancora una volta quel concetto che tante volte abbiamo sentito, ma che di rado si riesce a metabolizzare nella maniera corretta: “l’importante non è la meta, ma il viaggio compiuto per raggiungerla”; è dunque questo che fa il titolo in questione: un tentativo riuscito di sublimare il momento in cui si viaggia attraverso una terra rigogliosa e renderlo il più duraturo possibile per poter realizzare quanto sia magnifico.

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Yonder: The Cloud Catcher Chronicles

8.3

Trama

7.5/10

Gameplay

8.7/10

Grafica

9.0/10

Sonoro

7.8/10

Longevità

8.5/10

Pro

  • Ambientazioni
  • Comparto artistico
  • Scelta di una mappa semplice

Contro

  • Colonna sonora poco varia
  • Climax interrotto nel finale della storia

Pietro "Pido" Ferri

Deputy Editor di Serial Gamer, viaggia per i Videogames, si guarda in giro, fa foto, respira l'aria. È un po' come un turista, ma nel senso buono. Si interessa con dedizione all'approfondimento di qualunque forma d'arte che riesca a trasmettergli emozioni

Pietro "Pido" Ferri

Deputy Editor di Serial Gamer, viaggia per i Videogames, si guarda in giro, fa foto, respira l'aria. È un po' come un turista, ma nel senso buono. Si interessa con dedizione all'approfondimento di qualunque forma d'arte che riesca a trasmettergli emozioni

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