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The Last Guardian: colombe nei cieli di Fumito Ueda – Recensione

12 Mar 2017 | Recensioni, PlayStation 4, Recensioni Videogiochi

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The Last Guardian è un gioco che ha fatto molto parlare di sé.

Annunciato nel 2007 da un giovane Fumito Ueda, il titolo è passato attraverso una serie di peripezie che l’hanno portato a vedere la luce solo nel 2016 inoltrato.

Dieci anni di lavorazione e una quasi condanna ad essere dimenticato che, sì, hanno decisamente aiutato The Last Guardian a far parlare di sé.

Questi è l’eredità spirituale dei titoli del Team Ico che sono venuti prima di lui, Ico, appunto, e Shadow of the Colossus, e con questi va a formare una “trilogia” che condivide una scelta di narrativa indiretta, (quasi sicuramente) l’universo, le tematiche e molti elementi che si ripetono attraverso i tre giochi declinati in maniera più o meno differente.

Un comparto grafico semplice rispetto a colossi che fanno della “grafica” il loro cavallo di battaglia, poligoni semplici che sono chiare vestigia di uno sviluppo previsto per PlayStation 3, un modo di raccontare una storia diverso da quello consueto alla stragrande maggioranza dei casi odierni e nessuna velleità riguardo ad un ipotetico sistema multiplayer.

Ma allora perché si parla così tanto di The Last Guardian?

Perché anche giocatori del tutto estranei al genere sono corsi dal loro rivenditore di fiducia per portarsi a casa una copia del titolo?

La risposta potrebbe essere semplicemente la curiosità.

Su questo infatti si è basata la campagna pubblicitaria di Sony: curiosità riguardo un gioco mai uscito e per il quale si era smesso di sperare, curiosità per i “profani”di capire di cosa si trattasse.

Curiosità e una speculazione, sempre da parte di Sony, sull’hype.

Eppure il momento dell’uscita è arrivato, il mistero è svelato e la cortina di nebbia cala per mostrare finalmente di cosa effettivamente stiamo parlando da dieci anni.

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SEGNI SUL CORPO E SANGUE SULLE PIUME

Il gameplay si presenta come un puzzle game labirintico, chiara e totale eredità del suo primo genitore, Ico, quindi un’enorme escape room in cui gli enigmi da superare per guadagnarsi la agognata libertà sono perlopiù ambientali, e la chiave per risolverli è nel saper “fare squadra” col nostro pennuto compagno di viaggio.

Una caratteristica che rischia di far diventare il nostro walkthrough “legnoso” si cela appunto in questo: siamo un duo che ha reale bisogno di trovare affiatamento e coordinazione ma, mentre il primo elemento di questo duo è il giocatore nei panni del bambino, l’altro, detto fuori da ogni poesia, è un’IA controllata dal computer, che in più punti disobbedirà ai nostri comandi, non risultando ne come un’estensione della nostra volontà, ne tanto meno come un secondo personaggio giocabile ma più “il grosso mob che abbiamo con noi” (una Lydia da Skyrim, un Sully da Uncharted per capirci).

D’altronde, a giustificazione (grossolana) di ciò, c’è da chiedersi: se il nostro cagnolino crescesse di 10 metri, si fornisse di becco, una coda in grado di sparare fulmini e le ali, riusciremmo a farlo passeggiare in un parco con la mansuetudine e l’obbedienza che ci aspettiamo da Trico?

Ai posteri l’ardua sentenza.

L’alternarsi di fasi di gioco che presentano voragini superabili solo in groppa a Trico, con altre in cui spazi stretti, leve e cancelli chiamano ad agire il nostro bambino, rendono perfettamente la bidimensionalità di tutta l’opera e manifestano il bisogno dei due protagonisti di agire coordinatamente per raggiungere la fine del percorso.

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È “bidimensionalità” appunto una delle parole chiave per analizzare i personaggi:

Su un piano Trico, l’aquila mangia-uomini, una gigantesca chimera che dimostra di avere, oltre che l’atavico desiderio di raggiungere la libertà fuggendo dalla valle, la capacità di nutrire un’amicizia leale e fedele che ogni persona che abbia un animale domestico conosce bene.

D’altro canto il bambino che andiamo ad impersonare, il cui nome non ci viene chiaramente specificato, compagno di cella della bestia per motivi che all’inizio del gioco non sono ancora conosciuti.

Sulle loro differenze e sul superamento di queste si basa la speranza di riuscire a raggiungere il lieto fine della loro storia, al prezzo del sangue sulle piume di Trico e dei misteriosi segni che coprono il corpo del bambino, marchiandolo.

È incredibilmente attuale anche nel nostro mondo il messaggio che trapela dando un solo sguardo ai due protagonisti.

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ALLA SCOPERTA DELLA VALLE

L’ambientazione in cui si svolge la storia si identifica di fatto nella sola valle, in cui è situato il castello/città, abbandonata dove si ritrovano i protagonisti all’inizio dell’avventura.

In questa l’atmosfera è orchestrata in modo tale da rendere l’esplorazione del castello ai limiti dell’opprimente attraverso la chiusura degli spazi (che si accentua ulteriormente quando viviamo il viaggio stando in groppa a Trico) e l’utilizzo di luci filtrate in tonalità di verde e un malsano azzurro.

A tutto ciò si aggiunge una spropositata quantità di dettagli, che ci spingono a guardare ogni mattonella, ogni incisione sul muro e a chiederci con ansia sempre crescente se la chiave per far luce su qualche elemento della trama è proprio davanti a noi, o sul pattern più avanti, e noi non riusciamo a capirla.

A questa atmosfera si contrappongono momenti in cui il nostro percorso sfocia in uno spazio aperto, un accenno di foresta, un belvedere, che ci fanno riprendere respiro e godere dell’aria che il bambino respira come se fossimo lì con lui.

Speciale menzione va al comparto sonoro, con dei suoni ambientali e una maestosa soundtrack che è un punto di arrivo del ciclo sempre in crescendo di ICO-SOTC-TLG.

Evocativa, riflessiva e sublime, capace nel momento opportuno di trasmettere o amplificare il sentimento giusto, l’OST è semplicemente perfetta per il tipo di opera in questione.

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In conclusione The Last Guardian risulta essere esattamente quello che un fan dei suoi predecessori desiderava e aspettava: niente di più di una toccante avventura introspettiva e romantica a modo suo, che il Team Ico ha saputo dipingere con maestria.

È un gioco diverso da quelli cui siamo abituati in questo periodo, in cui il mercato macina uscite programmate e annuali e dove il fine ultimo è la messa in vendita del prodotto più che la qualità dello stesso.

Riguardo questo è interessante come anche Sony abbia provato a fare di The Last Guardian un prodotto simile agli altri tramite un grande lavoro pubblicitario precedente all’uscita (che può risultare fuorviante proprio a causa della sua diversità col resto dei titoli) e più nel concreto con un prezzo di vendita in linea col resto dei prodotti attuali, coi quali però, ripeto per l’ultima volta, ha realmente poco in comune.

Esattamente quello che il giocatore attento si aspettava dunque, un ottimo lavoro che con ogni probabilità acquisterà valore col tempo e che, anche col passare degli anni, ci ricorderemo con affetto.

 

FUMITO UEDA, IL PADRE PELLEGRINO DELLE LANDE SILENTI

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Un’analisi approfondita per tentare di afferrare il messaggio dell’ultimo guardiano però va anche fatta riguardo allo sviluppatore Ueda, che può essere definito tranquillamente il primo padre di questo ciclo di opere unico.

Fumito Ueda nasce in Giappone e cresce nella prefettura rurale di Hyogo, nella città di Tatsuno.

Qui, già in tenera età, si affaccia sul mondo delle arti visive. Appassionato di anime più che manga comincia comunque a disegnare vignette molto presto.

Si tratta di semplici caricature sue e dei suoi compagni di classe intenti a vivere la vita di ogni giorno nel loro piccolo mondo, ma ad un ragazzino capace di sognare basta la quotidianità per vivere nella sua ristrettezza fantastiche avventure.

Alle scuole superiori frequenta l’indirizzo di arti industriali e design e il suo bagaglio personale si arricchisce quando al college, che frequenta ad Osaka, si iscrive ad arti astratte.

In un’intervista ammette sorridendo di non essere stato un bravo studente in quel periodo, più interessato alle scampagnate sulla sua motocicletta o alle partite a softair con gli amici, ma questo cambia dopo il diploma, quando Ueda decide di continuare il suo percorso nelle arti visive, vende dunque la sua moto e compra un Amiga, un computer che rivaleggiò con Macintosh nei primi anni ’90 nel campo dei lavori creativi e sul quale il giovane comincia a impratichirsi in Computer Grafica.

Questo è l’inizio del Fumito Ueda sviluppatore; da qui si unirà alla software house WARP che lascerà dopo due anni, passando a Sony Computer Entertainment.

Sarà proprio Sony a fare da publisher ai tre titoli che hanno consacrato Ueda come uno degli autori di videogiochi più famosi al mondo.

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ICO, IL PRIMO PASSO SULLA STRADA

Ico è, in ordine cronologico, il primo capitolo di quella che può essere certamente considerata una trilogia composta dai maggiori titoli di Ueda.

Puzzle game ambientale che farà da predecessore per The Last Guardian, ICO racconta la storia di un bambino rinchiuso in una strana gabbia all’interno di un castello governato da un’oscura ed eterea regina.

Da questo dovrà scappare con l’aiuto (e in aiuto) di Yorda, una ragazza che sembra essere la figlia della regina ma che da questa si discosta in quanto figura luminosa, infantile e ingenua, ma pura.

La Copertina giapponese ed europea del titolo, uscito in esclusiva per PlayStation 2, è una citazione al dipinto di Giorgio De Chirico, principale esponente della pittura metafisica chiamato “Malinconia e Mistero di una Strada”.

Questo è un chiaro indicatore di una delle fonti di ispirazione da cui Ueda ha tratto degli elementi per la sua opera ma ne parleremo meglio in seguito.

Il gioco ricevette dopo la sua uscita le lodi di buona parte della critica grazie alla sua cura per le animazioni dei personaggi e il comparto grafico ispirato e capace di trasmettere una sensazione fiabesca.

Una particolare nota di merito va al level design: quando si crea un labirinto infatti è facile affidarsi al concetto di caos per rendere arduo orientamento e fuga al giocatore, invece ICO presenta un castello dove gli ambienti sono coerenti, precisi e pieni di punti di riferimento che faciliteranno di molto all’esploratore attento il compito di seguire l’immaginario filo di Arianna fino all’uscita del dedalo, il quale però non viene comunque reso una sfida da poco.

 

SHADOW OF THE COLOSSUS, IL SECONDO PASSO E LA MATURAZIONE SPIRITUALE

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Nel 2005, a quattro anni di distanza da Ico, esce Shadow Of the Colossus, seconda fatica del team di sviluppo e definitiva conferma che Ueda è uno dei creativi più ispirati del decennio.

Il titolo è un open world il cui gameplay consiste di fatto in sedici bossfight con creature titaniche, potenzialmente invulnerabili se non colpiti con una spada sacra e solo in determinati “punti vitali” del loro gigantesco corpo.

La storia parla di un ragazzo di nome Wanda (Wander nella versione giapponese) che giunge in una sconfinata landa proibita alla ricerca di un potere che si dice esservi celato: il potere della resurrezione dei morti.

Wanda vuole attingere questo potere per riportare in vita Mono, una ragazza defunta che il giovane ha portato fino a li in sella alla sua cavalla Agro.

Qui la strana compagnia si imbatte in un enorme tempio nel quale il semidio Dormin è rinchiuso; è lui che ha il potere di far risorgere dalla morte gli uomini e si offre di aiutare Wanda a patto che questi lo liberi dalla sua prigione.

Dormin spiega che la sua reale essenza è stata scissa in sedici parti e queste rinchiuse nel tempio dentro delle statue ritraenti dei mostruosi colossi; per distruggere queste statue tuttavia è necessario uccidere le loro controparti in carne ed ossa che vagano liberi per quella terra: i sedici colossi della landa proibita.

Anche in questo titolo si ripresenta la medesima cura per le animazioni che aveva il precedente, se non migliore.

Le emozioni che la landa proibita è in grado di trasmettere colpiscono senza alcun filtro l’animo del giocatore e la sensazione che si prova cavalcando per quegli spazi richiama al concetto di  Sublime di cui parlavano gli artisti romantici dell’800.

E’ questa la chiave del successo di Shadow of the Colossus: una fiaba oscura la cui atmosfera è enfatizzata al massimo dalla libertà di esplorare un mondo enorme e immacolato, la possibilità di montare a cavallo di Agro e semplicemente dirigerci verso un punto in lontananza, nel silenzio, scoprendo nuove foreste e punti panoramici che ci vengono donati da un level design ancora più maturo e pregevole di quello di Ico.

D’altra parte possiamo anche seguire un ritmo di gioco più incalzante: la nostra Mono giace morta su un altare nel tempio e solo le nostre imprese le ridaranno il calore della vita. Sempre avvolti in un pacato velo di oscurità fiabesca, siamo degli eroi romantici.

 

RIFLESSIONI SUL VIAGGIO FINORA

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Ufficialmente i tre titoli non sono parte di una saga ma i molti punti comuni suggeriscono che non si tratti solo di un’eredità spirituale ma di una vera e propria condivisione dell’universo narrativo, luoghi e addirittura personaggi.

Una delle principali scelte dell’autore dei giochi è per una narrativa perlopiù indiretta, in cui la maggior parte degli avvenimenti non sono accompagnati da esplicitazione di una voce narrante; Ueda non ha mai parlato di quella che è la storia complessiva che viene raccontata attraverso Ico, Shadow of the Colossus e The Last Guardian.

Dunque, nonostante io sia uno di coloro che, giocando e rigiocando i titoli si sono fatti delle idee che ritengono più o meno giuste e confermate da avvenimenti o dettagli, non parlerò in questa sede di quella che per me è la trama della trilogia: le teorie di noi giocatori sono solo questo, teorie, e togliere a chiunque la possibilità di speculare su titoli come questi sarebbe ai limiti della criminalità.

L’esplorazione dei giochi di Ueda è si fisica, ma anche metafisica.

Riguardo alle Tematiche e alle influenze comunque, lo sviluppatore non si è mai nascosto: tutti i titoli sono pieni di riferimenti a concetti di dualismo.

Luce ed Ombra sono nei primi due titoli maniacalmente bilanciati nelle loro manifestazioni: si pensi a Yorda e la Regina, o ai colossi che, distrutti con una spada di luce, sprigionano tentacoli di oscurità.

In The Last Guardian sono più confusamente amalgamati, ma sempre presenti, per esempio nell’entità chiamata “il Signore della Valle”.

Uomo e Donna è un altro contrasto sempre presente nei titoli: ne sono parte Yorda e Ico, protagonisti del primo lavoro, oppure Wanda e Mono nel secondo.

Lo stesso Dormin presenta un’effetto di “doppia voce” durante i dialoghi: una maschile e una femminile.

Nell’ultimo uscito della trilogia la situazione a riguardo è meno chiara ma alcune voci affermano che Trico sia un esemplare femmina.

Di certo un’analisi più approfondita del titolo da parte dei giocatori porterà chiarezza sulla faccenda.

Le influenze che Ueda ha chiaramente incanalato nei suoi progetti sono molte e variegate:

  • La mitologia cristiana e più nello specifico l’antico testamento è di sicuro tra queste, infatti Dormin, uno dei personaggi principali di questo universo narrativo, deve il suo nome al capovolgimento delle lettere presenti in quello del re assiro Nimrod, che viene descritto nel libro della Genesi come il fondatore di Babele, già nota per il mito della differenziazione delle lingue sulla Terra.
    Parlando di lingue, quella parlata in tutti e tre i titoli della trilogia è sempre la stessa, un misto di latino e giapponese pronunciati al contrario. Chiaramente un altro importante elemento in comune.
  • Un’altra influenza importante è quella dell’esoterismo e della Cabala: numeri precisi hanno un preciso significato nell’ambito magico e i simboli disseminati per i vari titoli non sono certo un caso.
  • Il tema ricorrente delle corna è di sicuro uno dei più importanti tra tutti questi simboli: esse possono assumere sensi diversi a seconda della chiave di lettura che si sceglie di adottare ma rimangono in ogni caso un simbolo molto forte.
  • In ultimo l’ambito alchemico, infatti soprattutto in The Last Guardian questo sembra avere una certa rilevanza: i titoli di testa del gioco mostrano varie specie di animali in un’iconografia che ricorda molto i compendi alchemici medievali ed essendo Trico di fatto una chimera, forse si può assegnare ad ogni animale che gli dona una caratteristica anche un particolare significato figurato, andando così ad ottenere un risultato del tutto diverso in ultima analisi.

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I titoli di Ueda sono questo dunque: un mondo paragonabile ad un prisma che rifrange mille sfumature di luce.

Nessuno può dire quale sia la vera essenza della luce ma noi continuiamo ad osservarla, cogliendo ad ogni sguardo un colore, una sensazione o un sentimento che non avevamo carpito allo sguardo prima.

Come fosse una sostanza psicotropa Fumito Ueda ci da la chiave per saziare ogni tipo di fame da giocatore.

L’occhio ha la sua succulenta parte, la mente si arrovella elettrizzata alla ricerca della prossima soluzione (e relativa prossima domanda), l’anima invece si pasce dell’arioso senso di libertà fisica e metafisica che le viene donato.

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The Last Guardian

8.2

Gameplay

7.0/10

Grafica

8.0/10

Sonoro

9.5/10

Trama

9.0/10

Longevità

7.5/10

Pro

  • Colonna sonora
  • Storia toccante
  • Atmosfera

Contro

  • IA di Trico
  • Sistema di telecamera
  • Errata promozione del titolo

Pietro "Pido" Ferri

Deputy Editor di Serial Gamer, viaggia per i Videogames, si guarda in giro, fa foto, respira l'aria. È un po' come un turista, ma nel senso buono. Si interessa con dedizione all'approfondimento di qualunque forma d'arte che riesca a trasmettergli emozioni

Pietro "Pido" Ferri

Deputy Editor di Serial Gamer, viaggia per i Videogames, si guarda in giro, fa foto, respira l'aria. È un po' come un turista, ma nel senso buono. Si interessa con dedizione all'approfondimento di qualunque forma d'arte che riesca a trasmettergli emozioni

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