*Recensione già pubblicata a gennaio, ma persa nel trasferimento del sito sul nuovo server.
Pubblicato originariamente nel 2012 da Goodman Games e giunto in Italia grazie a Kaizoku Press, Dungeon Crawl Classics – Il Gioco di Ruolo è molto più di un semplice regolamento OSR: è un grimorio impolverato ritrovato sotto le macerie della modernità, un inno urlato con voce roca agli albori del gioco di ruolo, quando dadi e immaginazione erano le uniche armi e la sopravvivenza nel dungeon era tutt’altro che garantita. La sua edizione italiana, curata con passione e rigore, restituisce intatto il fascino visionario dell’opera di Joseph Goodman, carico di suggestioni che rimandano all’era pionieristica del gioco fantasy, quella dei manuali ciclostilati, delle illustrazioni in bianco e nero e dei racconti di Howard, Leiber e Moorcock.

Fin dalle prime pagine, il manuale dichiara la sua intenzione di rompere gli schemi moderni. Lo fa con un tono provocatorio e ispirato, rivolto a un pubblico che sappia cogliere i riferimenti colti, gli omaggi ai “Grandi Antichi” del GDR come Gygax e Arneson e che sia pronto a rinunciare alla comodità delle costruzioni ottimizzate per abbracciare un gioco brutale, caotico, evocativo. La meccanica base si fonda sul classico tiro di un d20 contro una Classe Difficoltà, ma ciò che lo distingue è l’uso della “catena dei dadi”: una progressione di poliedri che vanno dal d3 al d30 (noti come dadi zocchi) e che sostituisce i tradizionali modificatori numerici con variazioni nel tipo di dado da tirare. Questo crea una curva di incertezza esaltante, in cui la sorte è un’entità viva e capricciosa, non una semplice variabile numerica. A tutto ciò si aggiunge una tavolozza di risultati critici, fallimenti catastrofici, effetti imprevedibili della magia e un tono spietatamente old school, che restituisce alla morte il suo peso narrativo e alla vittoria il sapore del sangue versato.
Il processo di creazione del personaggio è un vero e proprio rito iniziatico: si parte dal livello 0, impersonando contadini, mendicanti e taglialegna e ciascun giocatore crea da due a quattro personaggi, tutti generati completamente a caso, dotati di pochi oggetti e di un mestiere umile. Questa fase, chiamata “setaccio”, è un colpo di genio: il gruppo si lancia in un’avventura letale dove la mortalità è altissima e solo i superstiti potranno scegliere una classe e diventare veri e propri avventurieri. È un’idea cruda e meravigliosa, che restituisce l’epica della sopravvivenza e annulla ogni possibilità di ottimizzazione meccanica. L’eroismo, qui, non è programmato: si conquista con i dadi e con il coraggio.
Le caratteristiche sono le sei classiche (Forza, Agilità, Fibra, Personalità, Intelligenza e Fortuna), tirate con 3d6 in ordine e senza possibilità di scelta. L’uso della Fortuna è particolarmente interessante: ogni personaggio ha un “tiro fortunato” influenzato dal suo modificatore iniziale, che può essere sacrificato per modificare altri tiri in momenti cruciali. Questa meccanica aggiunge uno strato decisionale potente, spesso legato a momenti drammatici, e rende la Fortuna una risorsa da gestire con attenzione. I tiri salvezza, divisi in Tempra, Riflessi e Volontà, sono familiari ai veterani del genere, ma qui risultano più diretti e legati alle caratteristiche base.


Una volta sopravvissuto al setaccio, il personaggio può scegliere tra una serie di sei classi tanto archetipiche quanto funzionali: Guerriero, Mago, Chierico, Ladro, Elfo, Nano, Halfling. La razza coincide con la classe per i semiumani, come nelle prime edizioni di D&D. Ogni classe ha meccaniche uniche: i Guerrieri avanzano lungo tabelle di colpi critici sempre più mortali, i Ladri sfruttano la Fortuna in modi particolari, i Maghi rischiano mutazioni e corruzioni ogni volta che lanciano un incantesimo. La magia, in particolare, è uno dei tratti più distintivi di DCC: ogni incantesimo ha una propria tabella che ne determina gli effetti, e il successo del lancio dipende da un tiro modificato. Il risultato può essere spettacolare oppure catastrofico. Lanci ripetuti possono attirare l’attenzione di entità aliene, provocare corruzione fisica o spirituale, o addirittura far impazzire l’incantatore. Non esiste un sistema a slot, ma un continuo rischio calcolato: più si osa, più si rischia e più memorabile sarà la magia che ne deriva.
Il tono del gioco è quello della spada e della stregoneria più oscura e psichedelica: dimenticate elfi nobili e cavalieri onorevoli, qui gli avventurieri sono predoni, negromanti, opportunisti e reietti che affrontano dungeon infestati da mostri cosmici, reliquie dimenticate e misteri al di là del tempo. Il mondo è quello di Aéreth, un setting che fonde elementi pulp e lovecraftiani con le atmosfere di Leiber e Moorcock. Le avventure, anch’esse incluse nel manuale, sono esempi perfetti di questo approccio: non semplici dungeon da esplorare, ma labirinti narrativi pieni di pericoli imprevedibili, trappole ingegnose e moralità ambigua.
Il combattimento in Dungeon Crawl Classics è brutale, diretto e ricco di variabili inaspettate. Ogni attacco, ogni colpo andato a segno, può trasformarsi in una scena memorabile grazie all’uso delle tabelle dei colpi critici, differenziate per classe e livello. Un Guerriero esperto, ad esempio, può dilaniare un avversario con un singolo fendente, mentre un contadino al suo primo scontro può inciampare nella propria arma e finire impalato. La mortalità è elevata, il ritmo è rapido e le regole privilegiano la risoluzione veloce a vantaggio della narrazione. Non ci sono manovre elaborate o tatticismi simulativi: qui si combatte per sopravvivere, e la tensione è palpabile perché ogni tiro può segnare la fine. L’iniziativa si basa sull’Agilità, ma le condizioni, l’ambiente e gli oggetti spesso improvvisati rendono ogni scontro unico. Il combattimento in DCC è un’arena dove il caos regna sovrano e dove anche un singolo dado può decidere tra l’oblio e la leggenda.



Il manuale si distingue anche per la qualità della scrittura e dell’impaginazione. Il tono è colto, ironico, evocativo. Le illustrazioni sono una celebrazione della tradizione fantasy classica, con nomi storici come Jeff Dee, Russ Nicholson, Jim Holloway, Erol Otus. Ogni pagina trasuda passione per il mezzo e rispetto per la sua storia. L’edizione italiana è curata con attenzione e include note di traduzione ironiche e spiritose, che rispettano il tono originale senza tradirne lo spirito.
In conclusione, Dungeon Crawl Classics – Il Gioco di Ruolo è un’esperienza ludica che non fa sconti, né al giocatore né al personaggio. È un gioco per chi cerca sfida, atmosfera, imprevedibilità e un ritorno alle origini del gioco di ruolo, ma con un tocco autoriale che lo rende unico. Non è adatto a tutti, specialmente a chi ama il controllo totale sul proprio alter ego digitale, ma per chi è disposto a lanciarsi nel caos con dadi strani e sogni folli, sarà una rivelazione. Un capolavoro oscuro, un rito barbarico, un tuffo nel cuore selvaggio del dungeon. Chi gioca a DCC, non cerca la gloria, ma tenta di sopravvive per raccontarla.
*Versione digitale del manuale fornita dall’editore italiano in cambio di una recensione onesta








