The Hand of God è un’avventura per Troika! scritta da Mike Knee e illustrata da Andrew Walter, pubblicata nel 2024 da Melsonian Arts Council, e fa parte della linea di scenari “1:5 Troika Adventures”; al momento non è disponibile un’edizione italiana. È un modulo compatto ma densissimo, che prende un’idea semplicissima e la esaspera fino al delirio: un’enorme mano di pietra che spunta nel mondo, trasformata in un micro–sandbox verticale pieno di culti, ur–dei, inquisitori e non morti assetati di vino. Il tutto incorniciato da un incipit potentissimo, con i personaggi strappati ai propri sogni dal demone uccello THOG e scaraventati nel suo nido in cima al dito indice, da cui dovranno fuggire verso il mondo di sotto, possibilmente con le tasche piene di tesori.

La struttura dell’avventura è dichiaratamente una pointcrawl, o meglio un’esplorazione a nodi: la Mano è suddivisa in una serie di aree numerate che corrispondono alle diverse regioni anatomiche, dal nido in cima all’indice fino alla Porta del Polso che riconnette al resto del mondo. Ogni zona è collegata solo ad alcune altre tramite sentieri, ponti, funivie o scalinate, spesso con pericoli o sfide associate al semplice spostarsi da un punto all’altro. Il risultato è un piccolo open world verticale, in cui il gruppo è libero di decidere se rischiare la funivia verso il tempio sul pollice, scendere lungo le scarpate battute dalle Arpie, attraversare il ponte di ferro infestato dai gremlin o calarsi nelle foreste che ricoprono il palmo. Dal punto di vista dell’arbitro è molto comodo: basta tenere sott’occhio la mappa “a mano aperta” e il diagramma dei collegamenti per avere subito chiaro dove porta ogni deviazione e quanto è facile o pericoloso cambiare itinerario.
Uno dei punti di forza più evidenti è il modo in cui l’avventura combina la cornice onirica con la concretezza del luogo. La Mano di Dio non è solo un paesaggio strano, è un super–condensato di temi troikiani: ur–dei incomprensibili, geometrie impossibili, fazioni in attrito, oggetti magici capricciosi e un umorismo macabro che smorza senza annullare il senso di pericolo. THOG, il demone uccello dalle dimensioni colossali con una mano al posto della testa, non è pensato come un “boss finale” da affrontare frontalmente, ma come una presenza minacciosa che può calare dall’alto ogni volta che le cose stanno andando troppo lisce. La scheda con SKILL 13, STAMINA 27 e danni da “bestia gigantesca” lo rende un avversario letale, ed è chiaro che il suo ruolo è più quello di regolatore del ritmo e deterrente contro l’abuso del volo che quello di antagonista da sconfiggere.

Dal punto di vista dei contenuti, The Hand of God mette in gioco una quantità sorprendente di idee anche in spazi molto piccoli. Ogni location è un nodo di relazioni, desideri e informazioni che spingono il gruppo verso altri punti della Mano. Nella sezione per l’arbitro c’è un’ottima pagina dedicata alle “relazioni tra fazioni”, che spiega in poche righe chi odia chi, chi commercia con chi, chi considera eretico praticamente chiunque, a partire dal fanatico Ordine Indelebile degli Idoli Assegnati che sta “giudicando” a colpi di fuoco e spada il villaggio di Thark. Questo intreccio di conflitti è pensato per emergere gradualmente in gioco, attraverso pettegolezzi, minacce, richieste d’aiuto e rumor. Tutto questo contribuisce a far sì che il gruppo scelga organicamente dove dirigersi, senza bisogno di una trama rigida.
I due dungeon principali, il Tempio di Jibberwind sul pollice e la Follia di Rezkin sul medio, rappresentano il cuore più corposo dell’avventura. Il tempio del culto delle Dita Perfette è un intricato complesso di corridoi curvi, sale rituali e spazi quotidiani in cui i cultisti vivono, pregano THOG e gettano cose e persone di sotto in sacrificio. La scrittura lo presenta come un luogo vivo, pieno di personaggi con motivazioni individuali ben definite, come l’High Nail Kirdi, capo setta affabile e al tempo stesso manipolatore, la cuoca Virtel che regge sulle spalle metà del culto, la disillusa Illor pronta a scappare col tesoro e la strega vegetale Julny, che coltiva frutti e veleni nella sua serra umida. È un dungeon che si presta tanto ai combattimenti quanto alle trattative, agli inganni o al gioco di fazioni.

La Follia di Rezkin, invece, offre un’esperienza più claustrofobica, dominata dall’assurdità delle ricerche del mago. La torre nera, sormontata da un globo rosso che lancia dardi di fuoco a chi sale le scale esterne, è già una dichiarazione d’intenti. All’interno, ogni piano ha un carattere nettamente distinto: macchinari bizzarri che tessono note tra le cuciture degli abiti, armadi pieni di bottoni pregiati, esseri fatti di filo animato, corridoi che odorano di carne marcia e un labirinto goblin “sospeso” nel nulla. SPOILER: al piano superiore si trova l’uovo di THOG, nascosto in un caveau protetto, elemento narrativo di enorme potenziale che può diventare il fulcro di successive avventure.
Oltre ai dungeon, la Mano ospita luoghi memorabili e molto diversi tra loro. Jgigji è una città non morta costruita come un intricato groviglio di passerelle sul mignolo, un porto verticale in rovina dove scheletri e zombie bevono vino a fiumi, litigano, giocano d’azzardo e crollano regolarmente attraverso i pavimenti marci. Qui vive Loury, la “mangiatrice di maledizioni”, figura fondamentale per chi cerca rimedi esoterici. Thark, sul lato opposto del palmo, è un villaggio apparentemente normale, devastato dall’Ordine Indelebile che interroga e brucia mentre nei tunnel sotterranei un prete fanatico tenta un rituale estremamente pericoloso. SPOILER: il rituale può sfociare in un’evocazione distruttiva che altera l’equilibrio della Mano.

Le zone selvagge ampliano ulteriormente l’immaginario dell’avventura. L’Est Wood custodisce un relitto dorato sorvegliato da salamandre, il West Wood è territorio delle streghe della pergamena, le Thenar Crags ospitano stelle viventi armate di fruste di luce, mentre le cascate celano l’ur–dea Vow, che può intervenire sul destino dei personaggi. L’Ur–Re Anguilla domina una grotta glaciale e il pantano del Sump ospita il cadavere di Porokin, un dio–pesce gigantesco trafitto da una spina primordiale. Sono incontri che non puntano alla “boss fight”, ma alla negoziazione, ai patti pericolosi, ai cambiamenti duraturi sul personaggio.
Dal punto di vista dell’usabilità, il modulo è sorprendentemente facile da gestire. Ogni luogo è scritto con struttura chiara, le statistiche sono raccolte in appendice, gli incontri casuali sono separati per zone e il testo offre diversi modi per integrare la Mano in una campagna esistente. Le illustrazioni di Andrew Walter e le mappe mantengono perfettamente il tono bizzarro e lisergico di Troika!, con un layout che privilegia la leggibilità senza sacrificare l’estetica.

The Hand of God, nel suo insieme, si afferma come una delle interpretazioni più efficaci e compatte dello spirito di Troika!, un’avventura verticale e surreale che riesce a sembrare viva, mutevole e pericolosa in ogni sua parte. È un modulo che richiede all’arbitro la disponibilità a improvvisare e ad assecondare la natura caotica delle dinamiche di gioco, ma che in cambio restituisce un’esperienza ricca di spunti, soluzioni creative, simbolismi e bizzarrie coerenti all’interno della visione troikiana. Una volta esplorata, la Mano resta impressa non solo per la quantità di idee concentrate in così poche pagine, ma per la sorprendente coerenza del suo tono, sospeso tra incubo, mitologia e ironia.
*Edizione fisica e digitale del manuale fornite da Melsonian Arts Council in cambio di una recensione onesta.







