Pubblicato nel 2025 da Free League Publishing, Coriolis: The Great Dark segna una ripartenza radicale per la storica linea sci-fi, reinventandone l’identità attorno all’idea di un’umanità disperata che tenta di sopravvivere in un nuovo orizzonte ostile e sconosciuto. L’arrivo dell’edizione italiana, annunciata da Need Games, rende questo titolo particolarmente atteso nel nostro panorama, anche perché si tratta di uno dei giochi più ambiziosi e ricchi mai prodotti dalla casa editrice svedese. La prima sensazione, sfogliando il manuale, è quella di trovarsi davanti a un’opera dal taglio quasi letterario, dove estetica, atmosfera e struttura ludica lavorano costantemente insieme per comunicare un unico messaggio: esplorare è l’unico modo per non soccombere.
Il fulcro della nuova ambientazione è il Lost Horizon, l’Orizzonte Perduto, un sistema stellare irraggiungibile dal resto dell’umanità dopo il collasso dei portali di salto. Qui, i superstiti della Diaspora hanno eretto Ship City, il loro unico rifugio: una città scavata e costruita attorno ai relitti della flotta, un ammasso di acciaio riciclato, grovigli abitativi, quartieri verticali e piattaforme sospese dove disperazione e ingegno convivono in equilibrio instabile. Il modo in cui il manuale racconta la nascita di Ship City, i suoi primi anni di sopravvivenza e la successiva evoluzione politica e sociale è uno dei momenti migliori dell’intero libro. È un’ambientazione che non si limita a fare da sfondo: respira, si muove, è viva. Soprattutto: non perdona.
La città è un crogiolo di tensioni ed ogni quartiere, dalle serre umide dei Gardens alle gallerie scavate dei Burrows, fino ai livelli industriali di Aluminum Bay, è un microcosmo, con regole, sapori, ingranaggi ed umori propri. Le tre grandi Gilde che dominano il panorama sociale, Navigatori, Macchinisti e Giardinieri, incarnano altrettanti modi di interpretare la sopravvivenza, mentre il panorama politico è complicato dalla presenza dei Corioliti, dai tentacoli della criminalità organizzata del Black Toad e da una pletora di gruppi minori che cercano spazio tra rovine e metallo fuso. Ship City determina davvero il tono della campagna: claustrofobia, necessità, compromesso e speranza sono sempre intrecciati.
Dal punto di vista del sistema, The Great Dark rielabora il Year Zero Engine con un approccio molto più tematico. La dinamica base dei pool di d6 rimane invariata, ma l’introduzione di elementi come Hope, che misura la forza di volontà del personaggio, e l’usura dell’equipaggiamento come conseguenza diretta dei fallimenti, spinge i giocatori a percepire il rischio in modo costante. “Spingere” un tiro è possibile, ma qui non è solo una scelta tattica: è una dichiarazione di necessità, un modo per dire che sei disposto a ferirti dentro pur di andare avanti. La coerenza fra meccanica e fiction è uno dei punti di forza del design.

La creazione dei personaggi è strutturata ma narrativa. Si inizia dalla propria origine, che definisce luogo di nascita, cultura e appartenenza di fazione, e da qui si ottengono il primo talento, un contatto e la base identitaria del PG. Si passa poi alla professione, che delinea il ruolo operativo del personaggio, e alla specializzazione che ne raffina ulteriormente l’approccio. Attributi, salute, volontà e cuore completano il quadro meccanico, mentre l’oggetto personale, un ricordo, un cimelio, un frammento di vita precedente, introduce uno dei meccanismi emotivi più intelligenti del manuale. Usarlo permette di recuperare Hope, ancorando in modo diretto il vissuto interiore del personaggio al suo percorso meccanico. È una trovata elegante, semplice e potentissima.
La dimensione della squadra è centrale. Qui il gruppo non è solo un insieme di personaggi che viaggiano insieme: è una spedizione registrata presso la Gilda degli Esploratori, un’entità riconosciuta che deve operare in modo organizzato. Ogni membro ha un ruolo chiave all’interno delle missioni, esploratore, scout, guardia, archeologo, e la struttura di gioco spinge a un approccio quasi da spedizione scientifica. A tutto questo si aggiunge l’elemento più enigmatico del manuale: il Bird. Una creatura artificiale, o quantomeno non completamente naturale, che si lega alla squadra e funge sia da supporto meccanico sia da strumento narrativo. Il Bird è un ponte tra la tecnologia dei misteriosi Builders e la Blight, la corruzione organica che permea molte zone dell’Orizzonte Perduto.
La Blight è il grande antagonista silenzioso del gioco: non è un mostro, non è un culto, non è una fazione, ma una presenza corrosiva, fisica e spirituale, che si insinua nella carne e nel metallo. Può infettare ambienti, strutture e persone, e il modo in cui altera sia la geografia che la psicologia dei personaggi è uno degli elementi più inquietanti dell’esperienza. Non è una minaccia frontale: è un logoramento, un lento consumo delle risorse, del morale e del corpo. Il manuale riesce a renderla credibile, concreta e soprattutto narrativamente utile, integrandola profondamente nelle meccaniche delle spedizioni.

Il viaggio è un altro pilastro del sistema. Le sezioni dedicate alle grandi navi e alla Slipstream – la corrente stellare che permette di attraversare il sistema, trasformano la navigazione in micro-campagne a sé stanti, con eventi, tensioni interne all’equipaggio, danni, fatica e decisioni da prendere con rischio crescente. Qui l’esplorazione non è mai trattata come uno spostamento meccanico: è sempre un’esperienza, con la sua durata, la sua fatica e il suo prezzo.
Il cuore ludico del gioco, però, è rappresentato dal sistema dei Delves, le spedizioni nel Great Dark, ed è qui che Coriolis: The Great Dark trova la sua vera identità. Le spedizioni non sono meri “dungeon” o sotterranei da attraversare: sono procedure complesse, scandite da cicli di avanzamento, osservazione, interazione e ritiro. Ogni Delve inizia prima ancora di mettere piede sul campo, con una fase preparatoria estremamente importante in cui la squadra definisce l’obiettivo, valuta la distanza e la profondità del sito di esplorazione, assegna i ruoli in modo più rigido del solito e stabilisce quante scorte portare. La Supply non è un valore astratto: è la linfa vitale della spedizione, un indicatore di autonomia che si erode con ogni ora trascorsa nel sottosuolo, con ogni ostacolo superato, con ogni deviazione imprevista.
Durante il Delve, i giocatori non si limitano a “esplorare”: devono prendere costantemente decisioni su come procedere, quanto rischiare e quando fermarsi a costruire un campo temporaneo per recuperare energie e valutare la situazione. I campi sono spazi di tregua solo apparente: richiedono tempo, espongono la squadra ad eventuali minacce e consumano risorse, ma permettono di stabilizzare la missione, curare ferite, riparare attrezzature e soprattutto valutare se la direzione scelta è ancora sensata. L’avanzamento nel Great Dark è rappresentato attraverso sezioni di ambiente con caratteristiche proprie, tiri di orientamento, ostacoli improvvisi, anomalie naturali o artificiali e zone infestate dalla Blight che obbligano a manovre caute e a un uso attento del Bird.

Uno degli elementi più affascinanti è la gestione del ritmo. Il manuale non lascia questo compito all’improvvisazione del narratore: fornisce strumenti chiari per far alternare momenti di tensione crescente, scoperte, difficoltà e punti di svolta. Ogni sezione del Delve può generare incontri ambientali, effetti atmosferici, segnali misteriosi o fenomeni organici che complicano il viaggio. Non ci sono “stanze numerate”: c’è un’interazione continua con un ambiente vivo, instabile, spesso ostile, in cui gli oggetti reagiscono, la luce cambia, l’aria si fa irrespirabile e dove la Blight può trasformare anche un semplice corridoio in una trappola sensoriale.
Il ritorno è parte integrante del sistema. Anche se la squadra ha raggiunto l’obiettivo, la missione non è conclusa fino al rientro a Ship City o alla nave. Il tragitto di ritorno può essere persino più pericoloso, perché le scorte sono state consumate, l’ambiente potrebbe essersi modificato, le ferite si accumulano e la Blight può aver lasciato segni fisici o psicologici sui membri della spedizione. Questo crea una tensione drammatica che pochi giochi riescono a gestire: il Delve non è un percorso a senso unico, ma un viaggio di andata e ritorno in cui la sopravvivenza non è mai garantita.
Il risultato complessivo è un sistema che unisce l’atmosfera inquietante del survival, la struttura metodica dell’esplorazione scientifica e il ritmo narrativo del thriller. Giocare un Delve significa sentirsi realmente in una spedizione: si avverte la fatica, si percepisce l’incedere del buio, si ascolta il metallo che scricchiola, si misura ogni scelta con attenzione. Ed è proprio questa combinazione di tensione costante, agency del giocatore e imprevedibilità ambientale a rendere le spedizioni il cuore pulsante dell’esperienza di The Great Dark.

Il manuale include anche un’avventura introduttiva di ottimo livello, “The Black Ziggurat”, che funge da manifesto ludico dell’intero sistema. Ambientata in un complesso Builder su una luna tossica, porta il gruppo a confrontarsi con infiltrazioni criminali, strutture organiche mutanti, interferenze sensoriali e repliche umane inquietanti. È un’avventura ben costruita, dall’atmosfera densissima, che mostra esattamente come il gioco vuole essere giocato: con cautela, curiosità, spirito scientifico e un costante senso di vulnerabilità.
A chiudere il volume c’è una sorpresa inaspettata: un intero modulo di gioco in solitaria, pensato per chi vuole esplorare l’Orizzonte Perduto senza un gruppo. L’Outcast Explorer è un personaggio esperto ma isolato, guidato da procedure, tabelle e regole specifiche per affrontare spedizioni in autonomia. È un’aggiunta di grande valore, che amplia il ventaglio di utilizzo del manuale e mostra una volta di più la cura progettuale dell’opera.
Visivamente, Coriolis: The Great Dark è uno dei volumi più belli mai prodotti da Free League. L’uso del nero, il contrasto cromatico, la fotografia delle illustrazioni di Martin Grip e il layout chiaro rendono ogni pagina non solo leggibile, ma suggestiva. È un manuale che comunica ciò che è anche attraverso l’estetica: un viaggio in un buio rosso e profondo, popolato da tecnologia morente, creature enigmatiche e architetture ciclopiche.

In definitiva, Coriolis: The Great Dark è un GDR che sa esattamente cosa vuole essere. Non è un sandbox generico, non è un catalogo di pianeti o un gioco d’azione nello spazio. È una dichiarazione di intenti: l’esplorazione come necessità, come atto identitario, come risposta all’entropia che divora ogni cosa. Chi cerca campagne lunghe, tensione costante, strutture di gioco solide e un’ambientazione cupa ma ricca di vita troverà qui una delle migliori esperienze sci-fi degli ultimi anni. Con l’edizione italiana ormai all’orizzonte, è difficile non vedere in The Great Dark uno dei futuri titoli di punta del nostro mercato. Il buio è profondo, ma è proprio lì che vale la pena spingersi.
*Copia fisica del manuale, dello schermo del master e dei dadi fornite insieme al materiale digitale su DriveThruRPG dal publisher per la recensione.








