Ogni tanto, pensando ai videogiochi, sembra quasi che sia esistito un periodo in cui non c’erano cose brutte.
Carpendo racconti e suggestioni delle varie community, pare quasi che tutta l’era relativa a PS2/Xbox e una prima parte di quella di PS3/Xbox 360 non abbia dato alla luce nessun prodotto insufficiente. I giocatori parlavano, e parlano ancora al passato, solo delle cose che gli piacevano, senza soffermarsi su esperienze ludiche che non apprezzavano, e di conseguenza senza scagliarsi con la veemenza tipica della contemporaneità verso i progetti che non incontrano il loro gusto.
È mai esistita un’epoca in cui non esistevano giochi brutti? Improbabile.
È dunque esistita un epoca popolata solo di allocchi che non riuscivano a distinguere un videogame buono da uno malvagio e che hanno consegnato agli annali dei resoconti fallaci quanto il loro gusto? Altrettanto improbabile.
È più probabile che in quell’epoca le persone, non ancora sommerse da stimoli, proposte e pubblicità di ogni tipo avessero una capacità di stupirsi diversa dalla nostra. Più immediata, diretta, personale.
In un mondo dove era meno presente la deleteria cultura dell’hype, il concetto di “fear of missing out” e anche il giudizio di critica e pubblico era meno pesante, un giocatore poteva davvero esperire qualcosa in maniera solo sua, ed era poi costretto a elaborare un parere per se stesso senza il supporto (o la costrizione) delle sopracitate sovrastrutture.
Le persone, probabilmente, erano più impegnate a scoprire cosa gli piaceva che a elaborare sentenze ineluttabili su cose che non apprezzavano, o peggio, non capivano.
È quest’epoca che ha portato alla luce alcune delle opere videoludiche ancora oggi più apprezzate, non curandosi di consegnare alla storia quelle meno riuscite.
È da quest’epoca che viene anche la saga di Gears of War.
Venuto alla luce per la prima volta su Xbox 360 nel 2006 per opera di Epic Games, che passerà successivamente il timone dello sviluppo a The Coalition, Gears of War fa immediatamente breccia nel cuore e nella mente dei giocatori, al punto che oggi ormai né il titolo né la serie hanno più bisogno di presentazioni.
Noi invece faremo delle presentazioni.

Il gameplay di Gears of War Reloaded è come un viaggio in una galleria d’arte che ha l’obiettivo di riscoprire un opera passata che ha definito un genere.
Con il lancio del titolo originale nel 2006 i giocatori di tutto il mondo assistettero alla consacrazione totale delle meccaniche di sparatutto in terza persona basati sulla feature delle coperture, che per anni avrebbero determinato una parte importante del genere shooter. La frenesia sei combattimenti prende così una tinta spiccatamente tattica, che richiede al giocatore di analizzare i campi dove si svolgono gli encounter per stabilire posizioni da difendere, tempistiche di attacco e movimento e anche (in maniera purtroppo molto più imprecisa) la gestione dei compagni.
La campagna è giocabile, oggi come nel lontano 2006 (in maniera visionaria) completamente in cooperativa online o locale, sia con squadre aperte che di amici. Questa possibilità rende ancora più immersivo il gioco e ancora più unica l’esperienza: condividere il viaggio sulla superficie devastata di Sera con un compagno fa tutta la differenza del mondo, grazie anche a sequenze specifiche della storia in cui la presenza di un team migliora in maniera evidente l’efficienza di Marcus e compagni nel trucidare maledette locuste.
L’ultima parte dell’offerta ludica di Gears of War Reloaded, e non certo per importanza, è quella relativa al multiplayer pvp, che se all’epoca del lancio su Xbox 360 era stata una rivoluzione con la sola macchia di determinati limiti tecnici (lag, latenze elevate e host dei match che facevano il bello e il cattivo tempo), ora è parte ancora più centrale del prodotto GoW. Ricco di modalità di gioco e con la possibilità di intraprendere partite private o classificate, la sezione “Versus” di Gears of War riapprodo in un universo videoludico che è certamente andato avanti rispetto al 2006, ma che è evidente che sia partito proprio dal titolo di The Coalition.
Ora, nel 2025, i limiti tecnici sono fortemente diminuiti, i problemi relativi alla connettività sono praticamente spariti e tutto quello che rimane nelle arene pvp è tanta volontà di farsi violenza tra giocatori, che sia con un colpo sopraffino di fucile da cecchino o con una truce zappata di gnasher.

L’arrivo di Gears of War su PlayStation 5, dove appunto abbiamo avuto modo di provarlo, compie un altro importante passo per scardinare il sistema di esclusività e asserragliamento di Microsoft e Sony intorno ai loro ecosistemi di gioco.
È un fatto assolutamente positivo a mio parere, in entrambe le direzioni, perché permette di portare un opera ad un pubblico più ampio possibile, creare delle community non legate solamente ad una piattaforma e, di conseguenza, ampliare le potenzialità di un titolo di essere vissuto, approfondito, condiviso.
L’edizione Reloaded di Gears of War gode di tutta una serie di migliorie ancora maggiori rispetto alla ultimate Edition che aveva rilanciato il titolo nel 2015 sulle console di Microsoft.
La prima cosa che personalmente ho notato è stata l’implementazione organica di tutte le incredibili potenzialità del controller dualsense, che ancora una volta si mostra ai miei occhi come parte integrante del salto generazionale da PS4 a PS5. Alle luci dinamiche del pad si unisce la possibilità di sfruttare gli adaptive trigger per un’esperienza che anche oggi, con un lifespan della console che supera la sua metà, appare incredibilmente moderno.
Il dualsense permette inoltre di godere dello speaker integrato, che oltre ad essere incaricato di rendere tutta una serie di effetti sonori (come quello super soddisfacente della ricarica perfetta), si mette in contatto direttamente con il giocatore attraverso tutta una serie di dialoghi radio, che acquistano così una credibilità maggiore e un impatto perfettamente immersivo.
A questi poi come su PlayStation anche su Xbox e PC , si aggiunge tutta una serie di migliorie graditissime in termini di resa a schermo: le texture vengono rimodellate in 4k sia nella modalità campagna che in tutte le 19 mappe multiplayer e il frame rate sale a 60 fps durante la campagna e 120 in multiplayer, dai rispettivi 30 e 60 della ultimate Edition. Inoltre vengono migliorati gli effetti visivi relativi alle ombre e ai riflessi, per dare un respiro ancora più contemporaneo al primo capitolo di una saga che è ancora vivissima nell’immaginario dei giocatori di questi giorni.

Per concludere, Gears of War Reloaded non è classificabile solo come la rimasterizzazione di un vecchio titolo o la sua celebrazione: l’approdo dell’esclusiva Xbox anche sulle console di Sony infatti rendono tutta l’operazione più simile ad un evento epocale piuttosto che un semplice lancio.
Gli upgrade tecnici sono certamente un’ottima motivazione per riapprocciarsi al titolo anche sulle console Xbox e su PC, dove Gears of War si mostrerà in ogni caso come giocabile nel modo migliore possibile, ma senza troppi giri di parole la parte del leone di questa giornata la fa il lancio su PlayStation 5, dove finalmente anche tutti gli utenti PlayStation potranno avvicinarsi ad una saga che senza esagerare ha aiutato a definire il concetto di videogioco.
Ora possiamo dirlo: Gears of War è di tutti, e l’edizione Reloaded è il modo perfetto per celebrare un momento in cui tutti i videogiocatori possono riunirsi davanti a qualcosa di maestoso.
*Versione testata: PS5, grazie al codice fornito dal publisher








