Nel 2023, His Majesty the Worm ha visto la luce per mano di Joshua McCrowell pubblicato in edizione fisica da Exalted Funeral Press. Si tratta di un gioco di ruolo cartaceo che abbraccia pienamente l’estetica e la struttura del dungeon crawl classico, rielaborandolo con un approccio moderno e dichiaratamente teatrale. Il titolo, ispirato a Il castello dei destini incrociati di Italo Calvino, è già una dichiarazione d’intenti: un gioco che sa di tarocchi, di simbolismi oscuri e di ironia consapevole. Non esiste una traduzione italiana, ma l’inglese adottato nel manuale è ricco, evocativo, a tratti lirico, ma sempre accessibile. Il manuale è disponibile in edizione fisica (in preorder, la ristampa in arrivo quest’estate) sul sito di Exalted Funeral ed in edizione digitale su Itch.io e su DriveThruRPG.

La struttura del manuale è ambiziosa ma ben organizzata, suddivisa in dieci capitoli principali e cinque appendici corpose. Il primo capitolo, “The Basics”, introduce con sapienza le fondamenta del gioco: l’uso dei tarocchi al posto dei dadi, i quattro attributi fondamentali degli avventurieri (Swords, Pentacles, Cups, Wands), e soprattutto il flusso a quattro fasi che struttura ogni sessione – Crawl, Challenge, Camp, e City. Questo ritmo ciclico è il cuore pulsante dell’esperienza: si scende nell’Underworld, si combatte, si riposa e si ritorna in città per riorganizzarsi e scegliere la prossima impresa. Ogni fase ha regole e procedure distinte che contribuiscono a diversificare l’esperienza di gioco.
Il secondo capitolo, “The Adventurer”, guida i giocatori nella creazione del personaggio in modo narrativo e collaborativo. Non ci si limita a riempire una scheda: si raccontano storie, si delineano fallimenti passati, si stabiliscono legami con gli altri membri del gruppo. L’approccio è apertamente teatrale, ma mai pesante: si gioca per raccontare, sì, ma anche per sbagliare, inciampare e ridere del tutto. Il concetto di “Bond”, i legami emotivi tra i personaggi, è il vero cuore del gioco, usato per guarire, superare traumi e trovare forza nei momenti più disperati.

Il terzo capitolo, “The Guild”, espande questo concetto portandolo al livello collettivo: i personaggi fanno parte di una gilda, con regole interne, nomi, ruoli e sigilli araldici. È qui che il gioco costruisce la sua vera identità sociale, regalando ai giocatori un senso di appartenenza che va oltre la semplice alleanza tattica per la sopravvivenza nel mega dungeon.
I capitoli da quattro a sei introducono rispettivamente le razze giocabili (“Kith and Kin”), i cammini (“The Four Paths”) e la fase di esplorazione dungeon vera e propria (“Crawl Phase”). Le razze sono archetipiche ma dotate di peculiarità meccaniche: umani, orchi, fate e underfolk (una sorta di goblin minatori) arricchiscono il panorama del gioco con tocchi di folklore e mitologia. I cammini: Swords, Pentacles, Cups e Wands ricalcano gli arcani minori ed ogni scelta determina talenti unici che definiscono l’approccio dell’avventuriero al mondo di gioco.

Il Crawl è il momento più teso e claustrofobico del gioco: torce che si consumano, rumori nel buio, stress che si accumula. Le regole danno grande importanza a dettagli normalmente trascurati nei giochi contemporanei: la gestione della luce, del cibo, della fatica, non ci sono scorciatoie magiche ed ogni errore può rivelarsi fatale.
Il settimo capitolo introduce la “Challenge Phase”, ovvero il sistema di combattimento. Anche qui, il gioco brilla per la sua capacità di essere al tempo stesso rigoroso e creativo: le azioni sono divise per seme (Swords per colpire, Cups per supportare, ecc.), e ogni turno è scandito da carte e scelte tattiche significative. Non esistono momenti morti: tutti i giocatori sono coinvolti, anche solo per preparare la loro prossima mossa.

La “Camp Phase” e la “City Phase”, nei capitoli otto e nove, rappresentano momenti di decompressione e narrazione. Il campo è il momento per curarsi, parlare, litigare o innamorarsi. La città è lo spazio per gestire risorse, stringere alleanze e pianificare le prossime mosse e missioni, rendendola in pratica come un personaggio silenzioso, plasmabile dai giocatori e dal master attraverso tabelle e suggerimenti semi-randomici.
Il decimo capitolo, “The Worm Turns”, è dedicato al Game Master. Qui, la voce autoriale si fa sentire con forza: il GM è un arbitro, ma anche un costruttore di mondi, un suggeritore di sogni, viene incoraggiato a modificare, interpretare, adattare. Il gioco non impone mai una visione univoca, ma propone spunti che stimolano la fantasia e l’immaginazione del narratore.
Le appendici sono mini-manuali a sé stanti. “Sorcery” e “Alchemy” presentano sistemi di magia e alchimia intricati e suggestivi, che ricordano l’approccio di Mörk Borg ma con un tono diciamo più controllato. “Dungeon Denizens” è un bestiario strano e poetico, dove le creature sono descritte con tocchi quasi letterari. “City Creation” e “Underworld Creation” forniscono strumenti pratici e creativi per costruire città e mega dungeon unici, incoraggiando una co-creazione al tavolo (o nel party online) tra giocatori e master che è raro trovare in un GDR con questa coerenza.

His Majesty the Worm non è un gioco per chi cerca il power play o build ottimizzate, ma è un GDR perfetto per chi ama il fallimento, la sorpresa, l’interazione umana e che prende i cliché del dungeon crawling e li smonta con passione ed ironia, per poi riassemblarli in qualcosa di nuovo ed unico. In un panorama saturo di fantasy generico, questo manuale è un gioiello di immaginazione giocabile, un viaggio nel buio con una lanterna traballante e una risata nervosa. Un gioco dove, davvero, il Verme regna sovrano.
*Edizione digitale del manuale fornita dall’autore in cambio di una recensione onesta







