Pubblicato nel 2024 da Studio Hermitage, Our Brilliant Ruin è un gioco di ruolo narrativo ambientato in un mondo al crepuscolo, dove il lusso estremo e l’angoscia esistenziale si fondono in una cornice decadente e struggente. Scritto da Justin Achilli, Pam Punzalan e Rachel J. Wilkinson, con un team artistico e creativo ricchissimo, il gioco si presenta come un’opera sofisticata e ambiziosa che rielabora temi gotici, classismo sociale e apocalisse cosmica in un’esperienza intensa, emotiva e politicamente lucida. Attraverso la lente del Dramark – una società elegante e corrotta sull’orlo della rovina – Our Brilliant Ruin invita i giocatori a esplorare relazioni umane, dilemmi morali e passioni terminali in una narrazione intima, drammatica e visivamente sfarzosa.

Il Dramark è l’ultima eco di una civiltà morente, devastata dalla Ruin: un fenomeno cosmico e inesorabile, portato dalla luce mortale di una stella defunta che ha distorto materia e coscienza, spezzando la società e alterando la natura stessa. In questo scenario terminale, la popolazione si suddivide in tre fazioni: gli Aristocrats, depositari del potere e della ricchezza che abitano le grandi tenute; i Truefolk, artigiani, studiosi e servitori che mantengono viva una parvenza di ordine; e gli Unbonded, outsider, ribelli e agenti del cambiamento. L’ambientazione non offre alcuna promessa di salvezza: non esiste un modo per “fermare” la Ruin, il gioco è invece focalizzato sulla sopravvivenza emotiva, sul significato personale e sul modo in cui affrontare il tramonto della civiltà.
Il cuore tematico del gioco è una sofisticata commistione tra arte e morte. L’influenza della Ruin, oltre a generare orrori e mutazioni, dissolve le fondamenta sociali e materiali del mondo. Tuttavia, come reazione, l’umanità risponde con uno splendore estremo: si moltiplicano le feste decadenti, i duelli d’onore, gli esperimenti artistici e scientifici, le mode audaci e gli amori disperati. Ogni personaggio è definito non solo dalle sue capacità, ma dal suo stile, dai suoi legami, dalle sue eredità e dalla sua relazione con la rovina imminente. Questo fa di Our Brilliant Ruin un gioco sulla memoria, sull’eredità culturale e sull’identità personale, prima ancora che sull’azione o sull’eroismo.
Il sistema di gioco si basa su una narrazione condivisa e flessibile. Il manuale non impone una meccanica rigida, ma offre strumenti agili e conversazionali per supportare la costruzione di storie. Le regole sono volutamente leggere, pensate per non intralciare il flusso narrativo ma per fornire una cornice drammatica solida, capace di gestire intrighi politici, interazioni sociali e minacce soprannaturali. Le azioni si risolvono principalmente attraverso il lancio di dadi (di vari tipi, a seconda del livello di rischio e significato), ma l’accento è sempre posto sulle conseguenze emotive e narrative delle scelte compiute.

La creazione del personaggio è profonda e intensamente tematica. Ogni personaggio si definisce a partire dalla fazione di appartenenza – Aristocrats, Truefolk o Unbonded – che determina valori, privilegi, problemi e prospettive sociali. Si sceglie poi una “famiglia” o “collettivo” (nel caso dei Truefolk e Unbonded), che può essere una casa nobiliare, una gilda, un’unità rivoluzionaria o persino una banda di briganti. Il personaggio è inoltre caratterizzato da un set di tratti e relazioni che plasmano le sue connessioni con gli altri protagonisti, definendo anche i conflitti, gli ideali e i desideri. Il mondo stesso partecipa alla creazione dei personaggi: gli Estates – le grandi tenute aristocratiche o le comunità locali – sono entità vive, spesso afflitte dalla Ruin ed ogni gruppo di gioco può costruire la propria proprietà comune come parte integrante della saga.
Un aspetto particolarmente originale del gioco è la centralità dell’estetica e della teatralità. I personaggi sono invitati ad avere uno “stile personale” – un mix di abbigliamento, portamento, simbolismo e retaggio culturale – che diventa rilevante nelle interazioni sociali e può influenzare le meccaniche. La moda, il lusso, le trasgressioni di gusto e le eccentricità sono strumenti narrativi e meccanici. Ogni azione, un brindisi sussurrato durante un ballo mascherato, una dichiarazione d’amore in una cripta profanata, una vendetta consumata su una terrazza fatiscente, è un frammento di un’epopea sensuale e malinconica, tanto evocativa quanto tragica.
A livello strutturale, il manuale è suddiviso in capitoli tematici che esplorano l’ambientazione, i personaggi, il sistema di gioco e il mondo circostante. Particolarmente denso è il primo capitolo dedicato alla società del Dramark, che analizza con sguardo clinico e narrativamente coinvolgente le sei grandi famiglie aristocratiche, ognuna caratterizzata da una propria estetica, ideologia e rapporto con la Ruin. I Bellephine incarnano la fierezza militare e la violenza controllata, gli Astus-Willough la fascinazione per l’occulto e l’entropia, i Dara la spregiudicata ambizione industriale, i Galdepark la frivolezza dei ricchi oziosi, i Valgreave la tradizione agraria e la pazienza naturale, mentre i Gailiwicke – citati solo marginalmente – appaiono come eco dei vecchi ordini reali. Ogni famiglia è esplorata con ricchezza di dettagli e possibilità di ruolo, offrendo archetipi profondi e sfaccettati, adatti tanto alla decadenza quanto alla redenzione.

Il secondo e il terzo capitolo approfondiscono le usanze, le dinamiche culturali e le “folkways” del Dramark, offrendo un’infinità di spunti su come portare in scena il gioco: feste, cacce, vendette, duelli, spettacoli teatrali, processi pubblici, amori proibiti, resistenze armate. Il mondo stesso è evocato come un personaggio collettivo, fatto di tenute in rovina, macchine syllokinetiche impazzite, strade piene di polvere entropica e rifugi in cui brillano candele e desideri. Le descrizioni sono liriche e cinematografiche, punteggiate da una malinconia diffusa che ricorda le opere di Gabriel García Márquez, M.R. James, Edgar Allan Poe e T. Kingfisher, ma anche da un sottotesto politico feroce.
Il capitolo dedicato ai sistemi di gioco (Chapter Four) presenta una struttura modulare e “narrativo-centrica”, con regole focalizzate sui conflitti sociali, sulla gestione delle proprietà, sulla degenerazione o controllo della Ruin, e sulla costruzione condivisa di saghe. Il dado utilizzato cambia in base alla posta in gioco e alla narrazione, ma il sistema incoraggia sempre la drammatizzazione, la scelta consapevole e l’interpretazione di fallimenti significativi. Non esiste “livellamento” nel senso classico: ogni personaggio può evolversi attraverso il proprio dramma personale, l’impatto sugli altri e la trasformazione dei propri ideali, relazioni e convinzioni.

Our Brilliant Ruin è, in definitiva, un gioco maturo, poetico e coraggioso, che rifiuta l’eroismo tradizionale per offrire una meditazione ludica sul lusso, il fallimento, il potere e la fine. È un gioco che esige impegno narrativo, gusto per il dialogo e la costruzione condivisa, ma che offre in cambio un’esperienza straordinariamente ricca, profonda e toccante. Più vicino a un romanzo gotico in cui i giocatori scrivono i propri ultimi capitoli che a una tradizionale campagna fantasy, è perfetto per chi cerca una forma di gioco di ruolo adulta, letteraria e visivamente potente. Una vera rovina brillante, da esplorare come una sinfonia morente sul confine tra arte e apocalisse.
*Versione digitale del manuale fornita dall’editore in cambio di una recensione onesta.







