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Soulstice e la riscoperta di Norihiro Yagi

9 Ott 2022 | Fumetti, PlayStation 5, Recensioni Videogiochi, Videogiochi, Xbox Series S, Xbox Series X

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Oggi parliamo di una dichiarazione d’amore.
Parliamo dell’ultima fatica di Reply Games, e parliamo della sua musa oscura, la cui presenza si percepisce incedendo per un mondo flagellato da un male invasivo, disegnato dagli sviluppatori senza alcuna paura di ferire.

Parliamo di Soulstice, e parliamo di Claymore, il lavoro più importante ed evocativo di Norihiro Yagi.

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l’opera di Norihiro Yagi non ha mai ricevuto l’attenzione che con ogni probabilità gli era più che dovuta.
la carriera del mangaka inizia nel 1990, quando Yagi pubblica sul celebre Shonen Jump prima il one shot Undeadmen, vincitore del 32° premio Akatsuka, e successivamente, tra il 1992 e il 2000, la commedia Angel Densetsu.
Nonostante gli ottimi risultati in Giappone, nel bel paese fino a questo momento Yagi non riceve l’attenzione che probabilmente merita, ma la situazione cambia con la pubblicazione di Claymore, iniziata sempre su Shonen Jump nel 2001 e conclusa nel 2014.
Quello che a oggi è il lavoro principale dell’autore viene infatti pubblicato anche nel Bel Paese dal 2005 grazie a Star Comics e si conclude nel 2015 dopo 27 succulenti tankobon.

Claymore è un’opera veramente magnifica di cui si parla troppo poco. Il suo nome dovrebbe, a parere mio, essere tra i mostri sacri del genere dark fantasy, forte del suo world setting e della sua visceralità, ma il modo stesso in cui sono entrato in contatto con il manga non è propriamente altisonante o indicatore di grande celebrità del titolo.
Ho conosciuto per la prima volta Claymore a 13 anni, mentre girovagavo per la stanza di mio cugino, essendo io ospite in vacanza a casa degli zii.

L’antro era una vera e propria “man-cave”, con collezioni di fumetti accatastate alle pareti in un utilizzo dello spazio evidentemente subordinato ad un’equazione materiale/spazio che all’aumentare esponenziale del primo fattore stava dando risultati apocalittici. Avrei potuto vedere una promessa del mio destino nelle mensole imbarcate e nella disperata lotta alla polvere, ma quello che trovai tra i cumuli di manga e serie Bonelli, fu proprio, totalmente a caso, Claymore.
Io, ripeto, avevo 13 anni e pur non sapendo bene cos’avevo per le mani mi appollaiavo serenamente in poltrona a leggere di gusto la storia di Claire.

Non ero un lettore “stagionato” e certo mi mancavano buona parte degli strumenti per capire la portata dell’opera, ma già allora questa mi piacque al punto da rendermi conto che, col passare degli anni e l’acquisizione di un minimo di capacità critica, avevo comunque sempre presente Claymore come termine di paragone di ciò che leggevo, come colonna portante della mia formazione. All’epoca la serie non era neanche conclusa, ma cominciando a frequentare le varie fiere del fumetto della mia zona, ben presto recuperai tutti i volumi, che ho avuto il piacere di rileggere pochi mesi fa.

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Claymore racconta appunto la storia di Claire, una ragazza facente parte di un’Organizzazione di spadaccine armate di pesanti claymore (pensa un po’) che cacciano demoni dalla forza sovrumana noti come Yoma.

Gli Yoma si nutrono della carne degli uomini e una volta fatto, possono prendere le sembianze della vittima, copiando in tutto per tutto il suo modo di pensare e addirittura ereditarne i ricordi. Così facendo questi possono vivere nelle città e nei centri abitati sotto mentite spoglie, cacciando come lupi tra le pecore.

Qui entra in gioco l’Organizzazione e le sue guerriere dagli occhi d’argento: dietro lauto pagamento da parte di sindaci e autorità che si trovano a dover fare i conti con degli Yoma nascosti tra i cittadini, i vertici dell’organizzazione mandano una guerriera a cacciarlo. Queste guerriere, membri di un Organizzazione senza nome e uniche in grado di riconoscere uno Yoma, vengono chiamate Claymore dagli esseri umani.
Le guerriere possono riconoscere i demoni e tenergli testa in battaglia per un semplice motivo: ognuna di queste ha ricevuto un addestramento inumano e una trasfusione di sangue Yoma. Ciò le rende delle vere macchine da guerra, in grado di attingere ad un potere demoniaco per potenziare le capacità fisiche e di rigenerazione, al prezzo del costante pericolo di essere soverchiate dal sangue infetto. Una volta che infatti una claymore non riesce più a controllare la sua parte demoniaca ne viene sopraffatta, subendo il “Risveglio”: questo le trasforma in dei mostri potentissimi, in grado di dispiegare un potere immenso, ma facendole perdere completamente la loro umanità. Anche i risvegliati si nutrono di carne umana, e sono gli Yoma più pericolosi in assoluto.

È un mondo di cacciatori e prede, tenuto in piedi per miracolo dall’equilibrio di poteri spaventosi all’ombra dei quali uomini e guerriere dagli occhi d’argento si muovono per sperare di sopravvivere lontano dall’oscurità opprimente e dai pericolosi segreti di misteriose personalità con interessi inimmaginabili.

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Ad oggi, sembra che l’opera di Norihiro Yagi stia vivendo una seconda primavera, sempre grazie all’editoria di Star Comics.
Dopo anni di colpevole silenzio, scandito solo dalla serializzazione dell’ultimo lavoro dell’autore (Ariadne in the Blue Sky, ad oggi ancora in corso) esce per la fine del 2022 in edicola e fumetteria una nuova edizione di Claymore, che insieme ad alcune Variant Cover di Ariadne, e la presenza del maestro Yagi in occasione di Lucca Comics & Games (!), danno proprio l’idea che l’artista sia stato riscoperto, e finalmente si possano avere i giusti riflettori sui suoi capolavori.
A questo si aggiunge, in maniera candida e sicuramente coincidenziale, l’uscita di Soulstice.

Siamo infatti partiti parlando di una storia d’amore, e il secondo protagonista di questa dichiarazione è proprio Soulstice.
In Soulstice ho visto moltissimo Claymore, tanto che davvero è evidente la cura degli sviluppatori nel riproporre, adattare, e rendere omaggio a tematiche, formule e topic del manga di Yagi

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Sviluppato come anticipato precedentemente dal team italiano di Reply Games, ed edito da Modus Games, Soulstice è stato reso disponibile su Playstation 5 e Xbox Series X/S lo scorso 20 settembre, quando, nel bene e nel male, ha comunque catalizzato l’interesse del pubblico in maniera soddisfacente.
La storia narrata nel titolo è ambientata nel regno di Keidas fondato grazie all’operato di tre figure semidivine, La Portatrice della Fiaccola, Lo Scultore e il Giudice.

Queste entità in tempi antichi hanno combattuto contro il caos primordiale del mondo, riuscendo infine a sconfiggerlo e relegarlo oltre il Velo di questa realtà, da dove periodicamente questo lancia attacchi al regno con eserciti di spettri e posseduti.
Le incursioni vengono fronteggiate dall’Ordine della Lama Cinerea, un’organizzazione armata al servizio del clero del regno: in questi casi l’Ordine invia dei cavalieri, che sono incaricati di debellare gli spettri e rimettere in sicurezza le zone.

La storia delle protagoniste di Soulstice comincia proprio quando il Velo si squarcia sopra la cattedrale di una delle tre capitali di Keidas.

I Cavalieri della Lama Cinerea sono delle chimere, e le nostre protagoniste non sono da meno: si tratta delle sorelle Briar e Lute.

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Nel mondo di Soulstice le Chimere sono degli esseri potenti, nati dal collegamento delle anime di due persone che condividono un legame: nel procedimento di trasformazione in Chimera, una di queste due persone viene uccisa, e la sua anima viene immersa in un cristallo collegato in qualche oscura maniera alle forze del Caos che hanno sede oltre il Velo; a sua volta questo cristallo viene innestato nel petto della seconda persona, così da avere una guerriera dalle capacità combattive fortemente aumentate collegata perennemente all’oscurità e al fantasma dell’altra, che prende il nome di “Ombra”.

La guerriera e l’Ombra condividono il resto della loro vita e possono coordinare le loro capacita di combattimento ed  estendere la propria  aure metafisica per avere ragione dei nemici più ostici.

Quando all’inizio del gioco il Velo si squarcia sopra la città di Ilden La paladina Briar e l’Ombre Lute vengono dunque inviate a gestire il problema, ma ben presto si rendono conto che la situazione è già scappata di mano ed è ora ben oltre le loro capacità: la città è un cimitero abitato solo da spettri, posseduti e uomini corrotti dal dilagare dell’oscurità dello squarcio; la notte perpetua qui è illuminata solo dai fuochi degli incendi e da una luna che la scenografia riesce a far percepire come fredda e indifferente.

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Fin dal principio sono diverse le cose che però non quadrano: lo squarcio è il più grande che Briar e Lute abbiano mai visto, e la sua influenza sulla realtà circostante è nefasta oltre ogni immaginazione. Come ha potuto una tale catastrofe avere inizio in uno dei luoghi più importanti per il culto dominante di Keidas? In uno scenario così compromesso inoltre, a combattere contro le orde demoniache, la Paladina e l’Ombra avrebbero dovuto essere affiancate da altre due chimere, ma come è possibile che l’Ordine della Lama Cinerea abbia mandato solo tre unità, di cui una inesperta?

Chiaramente ci sono segreti che le sorelle non conoscono, macchinazioni oscure che nemmeno immaginano e forze in gioco disposte anche a sacrificare una capitale del regno per il raggiungimento dei loro scopi.

Il viaggio di Briar e Lute è appena iniziato, ma la situazione è già avvolta da una nebbia di mistero e pericolo: dovremo essere al loro fianco fino alla fine della loro battaglia, o a quella del mondo intero.

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Gli elementi narrativi che ho sentito fortemente collegare Soulstice a Claymore sono molti, e al percepirli già dai primi trailer del videogame il mio interesse per questo è aumentato: ciò mi ha portato oggi a valutare il prodotto come foriero di un’esperienza importante e piacevole da ricordare.

Quello attraverso Soulstice è stato infatti un viaggio profondo e di ottima qualità, personalmente non tanto per le proposte in termini di difficoltà del gameplay, modulabili per ogni grado di abilità del giocatore, quanto per la predisposizione dell’universo narrativo a farsi sviscerare dai curiosi.

Partendo dal setting, poco si sa ad ora del regno di Keidas, come poco si parla in realtà del continente in cui è ambientata l’opera di Yagi, se non verso il finale, dove si rivela che i fatti del manga avvengono su un’isola relativamente remota.

All’interno di Soulstice, già avviando il gioco e immergendosi nella opening esplicativa, si viene catapultati in quello che è un world design tipico del dark fantasy, in una terra dove l’età dell’oro è già passata da un pezzo e ora ci si ritrova ad avere davanti un’apocalisse incombente: si avverte come se la situazione attuale, disperata, sia comunque solo l’ultimo capitolo di un declino che va avanti da molto tempo.

Dopo la “fondazione del mondo” da parte delle semidivinità, infatti, l’approfondimento dell’universo narrativo ci parla di una corruzione dei costumi strisciante già da anni, con i vertici del culto della Triarchia mollemente abbandonati alle comodità e al lusso dei quartieri nobili e di monasteri più simili a palazzi. Questi, ormai più politicanti che ministri della religione, hanno perso completamente il contatto con la società reale e vivono ora sulle spalle dei ceti meno abbienti, pur essendo del tutto incapaci di porsi come loro guida spirituale o ancora meno di fronteggiare la minaccia portata dallo squarcio nel Velo.

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Le somiglianze tra le opere di Yagi e Reply sono in ogni caso qui reperibili principalmente per la presenza delle “Città Sante”, e della loro caratterizzazione: dove, infatti, in Claymore era presente la Città Santa di Rabona, caratterizzata dal fatto di essere sede di una grande cattedrale e abitata da numerosi sacerdoti, in Soulstice ci viene detto che le città intorno a cui verte la religione del regno sono addirittura tre, e Ilden è una di queste. Lo stesso fatto che venga attaccata da forze avverse riprende l’arco narrativo di Claymore in cui i mostri invadono le vie del centro abitato, mettendolo a ferro e fuoco e riducendolo in rovina: la percezione dell’offensiva delle forze caotiche che sono in grado di distruggere senza fatica una capitale del culto è la medesima in entrambe le opere, e la sensazione di camminare tra le rovine corrotte nei panni di una guerriera che dovrà essere l’ultimo bastione è in analisi postuma avvertibile come un riferimento a Claire.

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Altro forte riferimento è quello che collega in maniera evidente la caratterizzazione dell’Organizzazione presente in Claymore all’Ordine della Lama Cinerea di Soulstice.

Similmente all’Organizzazione, infatti, l’Ordine ha il compito di mantenere la pace tra le forze del caos e gli abitanti di Keidas epurando ogni essere proveniente da oltre il Velo e difendendo l’umanità.

Per farlo i vertici dei due gruppi impiegano in battaglia le Guerriere o i Paladini, inviandoli dove si creano i problemi più o meno come il vostro gestore telefonico “fa uscire il tecnico”, che però invece di mettere a posto i due fili che sospettosamente collegano gli apparecchi del vostro vicino di casa alla vostra rete internet, in questo caso mettono mano alle loro iconiche armi per sbudellare qualche demone.

Da una parte l’Organizzazione crea le Claymore, dall’altra l’Ordine crea le Chimere: in entrambi i casi queste saranno utilizzate come vere e proprie armi da guerra da dispiegare al momento strategicamente opportuno, così come in entrambi i casi il processo della loro creazione passa attraverso ripugnanti esperimenti e l’ibridazione dell’essere umano con elementi appartenenti al nemico, sia questo Yoma o Spettro.

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Simile è anche la modalità dei due gruppi di “supervisionare” le loro pedine. Già con il secondo capitolo di Claymore viene infatti introdotta la figura di Rubel (il cui nome viene in realtà rivelato più avanti): questi è un uomo di mezza età vestito di nero e caratterizzato dal suo portare sempre rotondi occhiali scuri e un cappello. Senza entrare troppo nel dettaglio di quello che è il suo ruolo nel mondo del manga, quello che è subito evidente è che Rubel si pone come “Agente” di alcune guerriere (tra cui Claire) e opera come contatto tra queste e i vertici dell’Organizzazione. È lui che aggiorna le Guerriere a lui assegnate degli incarichi dei quali sono investite, ed è sempre lui che, una volta che il compito è terminato, si reca presso il committente per incassare il pagamento per conto dell’Organizzazione.

Manager, Angelo custode e Cane da guardia: Rubel non ha interesse nel stringere amicizia con le sue Guerriere, ma semplicemente le amministra come risorse e ne controlla l’operato, rispondendo sempre ai suoi superiori circa qualunque “sbandamento” delle sue pedine fuori dai binari per loro preimpostati dai tirannici capi dell’Organizzazione.

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Un po’ della figura di Rubel si trova anche all’interno di Soulstice, in quanto le protagoniste di questa seconda Opera, Briar e Lute, qui operanti per l’Ordine della Lama Cinerea, a loro volta si trovano ad avere a che fare con un anello di collegamento tra loro e il Gran Maestro dell’Ordine, che sembra avere il potere decisionale assoluto sul dispiegamento delle Chimere, le strategie da adottare nelle diverse situazioni e gli obiettivi del gruppo.

Questa figura, all’interno dell’ordine, prende il nome di “Osservatore” e similmente al lavoro svolto da Rubel ha il compito di controllare la Chimera nei suoi compiti e aggiornarla sui suoi incarichi, accompagnandola nelle sue battaglie e tenendosi inquietantemente vicino a questa.

L’Osservatore di Briar e Lute si chiama Layton, e come la sua controparte in Claymore non è esattamente un fenomeno di simpatia: molto spesso misterioso e dotato di un umorismo pungente nei confronti delle protagoniste, Layton accompagna le Chimere nel loro viaggio attraverso Ilden, supportandole in termini di Gameplay attraverso il suo negozio di oggetti e offrendo approfondimenti circa l’universo narrativo del titolo grazie alle sue numerose linee di dialogo.

Sia Layton che Rubel sono a malapena colleghi delle protagoniste, e non certo amici: entrambi, infatti, come si scoprirà nel finale, hanno dei loro obiettivi personali, e la scoperta di questi non contribuirà certo a semplificare la visione della situazione complessiva del mondo, né all’interno di Claymore né in Soulstice.  

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Evidenziati i diversi parallelismi tra i gruppi che muovono le protagoniste all’interno delle due opere, un ultimo focus lo faremo sui modi di agire che questi hanno nei confronti dei propri sottoposti.

In entrambi i mondi si avverte subito come i vertici dei gruppi siano di fatto lontani dai loro guerrieri, e come questi perseguano dei loro scopi misteriosi che ben si guardano dal rivelare a chi poi fattualmente svolge il lavoro sul campo. Il rapporto tra i capi e le Claymore o le Chimere si riduce in pratica ad una consegna di incarichi da parte dell’intermediario (Layton/Rubel), e non è raro che anche in questo atto, di base semplice, si celi uno scopo altro. In entrambe le opere, infatti, ci si ritrova a fare i conti con un momento nel quale è evidente come l’Organizzazione e l’Ordine inviino le loro unità in vere e proprie missioni suicide per motivazioni oscure: le situazioni in questo caso sono oltre ogni possibilità di redenzione, ma Claymore e Chimere vengono comunque impiegate al pari di sacrifici in un disegno più ampio o addirittura per essere epurate nel caso il loro operato non compiaccia gli strateghi a capo dei direttivi.

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All’interno del mondo di Yagi questo avviene quando, a seguito di alcune domande scomode poste da alcune Guerriere circa l’Organizzazione, questa le schiera in numero ridotto su un fronte di battaglia che da li a poco sarebbe stato inondato di mostri, non lasciando a queste di fatto possibilità di sopravvivenza; per quanto riguarda invece l’universo di Soulstice, l’Ordine invia qui nel disastro di Ilden solo tre Chimere, che non solo sono impotenti davanti alla catastrofe, ma che addirittura fungeranno da innesco ad eventi ancora più apocalittici, dei quali evidentemente il Gran Maestro è responsabile.

 

In entrambi i casi questo distacco tra le protagoniste e la loro fazione di appartenenza ha il multiplo risultato di accentuare la caratterizzazione del singolo rispetto al suo contesto, dando maggiore importanza a questo, mentre dall’altro lato contribuisce a far percepire al giocatore/lettore una carenza ancora maggiore di certezze e fiducia all’interno di mondi che, alle prese con un apocalisse incombente, già mettono a dura prova le sensazioni di stabilità e sicurezza che si possono provare approcciandosi alle opere.

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I riferimenti da un’opera all’altra non cessano neanche quando andiamo ad analizzare maggiormente nel merito la figura delle Chimere, Delle Claymore e ancora più nel dettaglio, delle protagoniste Briar, Lute e Claire.

La prima e più evidente similitudine, in ogni caso, risulta sempre quella relativa al fattore estetico, sia per quanto riguarda le forme bestiali dei personaggi (che andremo a esplorare tra poco) sia per quanto riguarda il design delle guerriere, dei nemici e dei boss all’interno del videogioco di Reply.

Nello specifico abbiamo già anticipato che sia le Claymore che le Chimere sono di fatto degli esseri ibridati tra essere umano e demone, che in un caso si concretizza nello Yoma e nell’altro nel misterioso cristallo collegato con il Caos oltre il Velo nel quale viene innestata l’anima di una delle due persone che comporranno poi la Chimera.

Questa dualità crea in entrambi i casi un “richiamo” della parte umana delle figure verso l’aspetto demoniaco, minacciando di fatto l’equilibrio tra le due componenti e offrendo il costante pericolo che i personaggi cedano la loro volontà alla parte corrotta.

L’elemento chiave è infatti l’equilibrio: le guerriere più forti in Claymore sono quelle in grado di sprigionare il maggiore potere demoniaco per impiegarlo in battaglia, mantenendo il controllo della loro mente e indirizzando di fatto il suddetto potere (chiamato qui Yoki) semplicemente come un arma; allo stesso modo in Soulstice, il potere del cristallo piantato nel petto delle Chimere può essere imbrigliato per produrre un maggiore potenziale in battaglia, ma deve comunque essere tenuto sotto controllo dalle volontà qui congiunte di Paladina e Ombra.

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Nel caso il potere demoniaco dovesse non essere più controllato e prendere dunque il sopravvento in maniera definitiva sulla parte umana si dovrà fare i conti con un fenomeno parallelo tra le due opere, che prende il nome di Trascendenza in Soulstice e di Risveglio in Claymore.

Per spiegare l’evento, approfondito maggiormente nell’opera di Yagi, si prende come esempio l’orgasmo, descritto qui come uno stato alterato della mente che viene obnubilata a causa del desiderio viscerale di piacere o di potere. In questo momento la coscienza ricerca atavicamente l’immersone sempre più profonda all’interno di questa sensazione, dalla quale però non si avrà poi uscita.

Il Risveglio, così come la Trascendenza, è uno status che “monta” similmente al climax maschile: la percezione di “completezza” inizia piano e man mano si estende fino a soverchiare e inglobare ogni altro pensiero.

Il completamento di questo percorso è quello che Chimere e Claymore devono evitare per salvare la loro coscienza umana, perché una volta che questo si conclude, non è appunto più possibile recuperare la propria umanità e si è condannati a rimanere eternamente un demone (chiamato nei diversi casi Risvegliato o Trasceso), perdendo oltretutto ogni empatia, pietà e pensiero logico, che vengono rimpiazzati dalla sete di sangue umano.

Sia Briar, che Claire, che gli altri personaggi secondari di Soulstice e Claymore hanno a che fare con questa minaccia per l’intera durata delle opere, ed è intorno a questo concetto che verte la grande parte della caratterizzazione di tutti  questi personaggi: ognuno infatti ha il dovere di elaborare l’equilibrio tra la parte demoniaca e quella umana in modo tale da essere il più performante possibile in battaglia, creando di fatto delle vere e proprie tecniche di combattimento personali che esaltano le qualità singole di ogni combattente in relazione alla sua capacità di sprigionare energia del caos.

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Questi equilibri presentano, sia in Claymore che in Soulstice, dei casi limiti estremi, che andremo ora ad analizzare in quanto paralleli tra le due opere: per farlo prenderemo l’esempio delle Paladine Briar e Lute da una parte, e delle Claymore Alisia e Beth, che presentiamo subito, dall’altra.

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All’interno dell’Organizzazione di Claymore, le Guerriere sono un numero fisso di 47, e ognuna è inserita in un ranking che stabilisce quale sia la più forte: Claire, la protagonista del manga, è la numero 47, mentre Alisia e Beth, presentate verso la seconda metà dell’opera, sono rispettivamente la numero 1 e la numero 2.

Il loro altissimo Ranking è dovuto al fatto che queste, come Briar e Lute, sono sorelle, e in battaglia combattono sempre insieme, avendo le loro menti collegate: Il loro collegamento perenne permette ad Alisia, la numero 1 di risvegliarsi completamente durante un combattimento, mentre Beth, la numero due riesce a mantenere un controllo tale da permettere alla sorella, attraverso la loro coscienza condivisa, di tornare alla sua forma umana una volta concluso lo scontro, annullando di fatto il risveglio e soddisfacendo la necessità di equilibrio tra fattori uomo/demone nella maniera più estrema possibile.

Alisia, mentre è risvegliata, è in grado di sprigionare una potenza devastante e pari a quella degli esseri oscuri più potenti dell’universo, e a questa si aggiunge la capacità di indirizzarla in maniera logica e razionale grazie al “perno sull’umanità” esercitato da Beth, che guarda ogni giorno la sorella sprofondare nell’inferno e riesce sempre a tirarcela fuori salvandone la vita e l’essenza.

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Dall’altra parte, più di una volta all’interno di Soulstice, Briar e Lute si trovano ad operare rispettivamente come Alisia e Beth.

Il cristallo impiantato nel petto di Briar, come già detto, agisce similmente allo Yoki di Claymore, permettendo di bruciare un potere maggiore al prezzo di un richiamo più forte verso la Trascendenza, e in termini di gameplay, è sufficiente all’interno del titolo inanellare una combo abbastanza performante per sprigionare il potere limite d Briar, che cederà in questo caso quasi completamente alla sua parte demoniaca per falcidiare i suoi nemici, salvo poi venire riportata indietro dall’intervento di Lute, che chiaramente all’interno della lore ha un collegamento stretto con il cristallo della sorella, essendo in questo innestata la sua stessa anima.

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È chiaro che, a fronte di un parallelismo molto preciso tra Risveglio e Trascendenza, le meccaniche che determinano questi siano diverse tra le due opere, anche e soprattutto per il fatto che se Claymore è un prodotto di pura narrazione (prima manga e poi Anime), in Soulstice questa componente deve comunque trovare la sua quadra con l’apparato dell’interattività col giocatore e le necessità di gameplay.

Essendo però in ogni caso un riferimento concettuale lampante, ho voluto inserirlo all’interno dell’analisi, anche volendo in attesa di approfondimenti futuri al fenomeno sul lato di Soulstice, essendo, a differenza di Claymore un’opera ancora in corso.

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Si, perché, come evidente dal finale del prodotto di Reply, quello che abbiamo giocato era solo un primo capitolo, e per le avventure di Briar e Lute è atteso un proseguo che partirà dalle ottime basi poste da Soulstice, sia in termini di world setting, per ora solo accennato ma comunque ad oggi preciso ed interessante, sia per quanto concerne gli sviluppi che si sono visti col proseguo della storia, che certamente offrono un ottimo spunto di apertura alla trama generale, evidenziando la sceneggiatura di quella che è un opera narrativa ispirata e che ha tantissime possibilità per essere ampliata e approfondita dove necessario.

Da questo punto di vista, senza perdere di vista il fatto che il prodotto complessivo esprime un’ottima qualità, c’è però da dire che qualche sforzo maggiore poteva essere fatto: da una parte, infatti, un codex dal menu di pausa offre una lunga serie di curiosità e disamine dei (pochi) personaggi, mentre dall’altra mi è personalmente pesata la scarsezza delle linee di dialogo a carico delle protagoniste, che in maniera random durante le esplorazioni di Ilden ripetono spesso le stesse non brillanti battute, con il rischio di affossare il buon lavoro di caratterizzazione di queste facendo calare drasticamente l’empatia per un personaggio che ripropone in loop lo stesso pensiero per tutta la durata dell’avventura.

In ogni caso i difetti presenti nell’opera di Reply non ne pregiudicano comunque la qualità, attestando al titolo una votazione da parte mia abbondantemente sufficiente. Alle mancanze di attenzione circa le linee di dialogo delle protagoniste si aggiungono alcune imprecisioni circa alcuni elementi di gameplay, specie quelli legati al bilanciamento dei combattimenti e all’azione della telecamera, che rende in alcune situazioni difficoltoso il lock dei nemici specifici e più in generale la lettura dei fight, con visuali scomode e posizionamenti che permettono ai classici mob kamikaze di saltarci addosso quasi completamente non inquadrati e infliggerci gravi danni senza darci la possibilità di counterplay.

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Ogni altra considerazione circa Soulstice, personalmente risulta positiva: lo stilish action game di Reply, figlio anche di opere come Devil May Cry e i primi God of War riesce ad essere un prodotto coraggioso e divertente, con una forte rigiocabilità sin da subito grazie alle valutazioni che impone al giocatore in ogni capitolo, le sfide e i numerosi gradi di difficoltà, classificate dalla più bassa, “Umano”, alla più alta, “Trasceso”.

La colonna sonora proposta è di buona qualità, con dei momenti gradevolmente alti nel corso dell’avventura e sempre comunque in grado di accompagnare il giocatore attraverso gli scontri frenetici, così come di esaltare le atmosfere opprimenti e di minacciosa decadenza nelle fasi in cui l’esplorazione delle vie della città Santa diventa la vera protagonista.

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La storia d’amore di cui parlavamo oggi era quella di un progetto come Soulstice per un altro come Claymore.

Profondamente diversi ma sapientemente collegati, questi riescono da una parte a portare al panorama videoludico un prodotto nuovo ma allo stesso tempo richiamante il passato, mentre dall’altra a ridare lustro ad un’opera maestosa come quella di Yagi, che si percepisce davvero vivere una riscoperta in questo 2022.

Soulstice mi ha mostrato come un lavoro può omaggiarne un altro, facendolo in maniera rispettosa, elegante e coerente con la propria identità.

Mi ha fatto ricordare Claymore nel senso migliore possibile, riaccendendo una passione che era maturata da tempo per un vecchio capolavoro e riuscendo a mantenere tutti i suoi meriti, senza scadere nel derivativo.

 

Sento che una parte della mia sensibilità è dovuta all’incontro tempo fa con il manga di Norihiro Yagi, ed è stato un piacere immenso scorgerne le sue perle in piccoli lampi a schermo, giocando il titolo di Reply Games.

Ora però, un’altra parte del mio bagaglio, magari più piccola e sempre lì vicina alla colonna di Claymore, si è formata grazie all’esperienza di Soulstice, e vorrei davvero già sapere tra dieci anni come questa sarà cristallizzata dentro di me.

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Pietro "Pido" Ferri

Deputy Editor di Serial Gamer, viaggia per i Videogames, si guarda in giro, fa foto, respira l'aria. È un po' come un turista, ma nel senso buono. Si interessa con dedizione all'approfondimento di qualunque forma d'arte che riesca a trasmettergli emozioni

Pietro "Pido" Ferri

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