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Kingdom Hearts 3: dove tornano i cuori – Recensione

22 Feb 2019 | Recensioni Videogiochi, PlayStation 4, Recensioni, Videogiochi, Xbox One

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Quella di Kingdom Hearts 3 è stata una recensione piuttosto sudata.

Ho impiegato tre settimane per riflettere su ogni passaggio, ogni caratteristica ed ogni aspetto dell’attesissimo titolo Square Enix. Ammetto poi di aver rigiocato alcune sequenze più di una volta e alla fine, nonostante tutto, ho terminato il gioco in 39 ore. Si impiegano, infatti, dalle 30 alle 40 ore per terminare la storia principale, ma per godere appieno del prodotto sconsiglio vivamente una run troppo frettolosa.

Ecco quindi, dopo anni d’attesa, la nostra recensione di Kingdom Hearts 3, un’opera che merita attenzione ad ogni piccolo dettaglio.

L’eredità

Dopo l’installazione del gioco, si è pronti per lo spettacolo. KH3 ci accoglie subito con un video iniziale che ripercorre le scene più salienti di tutta la saga con il sottofondo orchestrale di Don’t Think Twice, capace di stringerci immediatamente il cuore.

Questo ed il successivo menù principale del gioco sono un incipit dall’impatto fortissimo e lasciano a bocca aperta: la costruzione del video, della schermata principale, l’arrangiamento delle musiche e la loro scelta vogliono subito mettere in chiaro che KH3 è conscio di essere chiamato ad imporsi come capolavoro, un’opera artistica per antonomasia.

Si avverte sin da subito la fame di avventure dovuta al peso di una storia cominciata all’inizio degli anni 2000 ed affinata per quasi vent’anni, una presenza costante nell’arco di crescita di diverse generazioni che stabilisce ponti solidi tra mondi diversi come quello occidentale e quello orientale. Il mondo Disney ed il mondo Square Enix.

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Il Comparto audio

La prima cosa che colpisce avviando il gioco è proprio la colonna sonora. Tutte quelle musiche decontestualizzate che abbiamo visto pubblicare dai canali social della saga in attesa del lancio di KH3 e che poco ci dicevano, diventano così quasi il narratore principale dell’intera storia, mutando forma e tonalità a seconda del mondo in cui Sora si trova. Il comparto sonoro è eccezionale, all’altezza delle aspettative degli appassionati dei giochi Square Enix, da sempre caratterizzati da musiche coinvolgenti ed arie immortali.

Un altro punto importante di questo aspetto è il doppiaggio. Sono presenti attori storici del calibro di Mark Hamill, l’ormai familiare Jesse McCartney e Rutger Hauer in sostituzione del defunto Leonard Nimoy. Il doppiaggio è nel complesso una squadra di superstar sia nel mondo del doppiaggio stesso sia in quello del cinema internazionale che aiuta a sottolineare il gran lavoro dietro KH3.

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Il Comparto grafico

Ad ogni modo, la musica non è l’unica cosa in grado di modellarsi a seconda del mondo giocato. Anche la grafica riesce meravigliosamente in questo.

La fluidità, i colori ed i nuovi accorgimenti estetici, resi possibili da un Unreal Engine sfruttato magistralmente, evidenziano questi cambi di rendering da un mondo all’altro, grazie anche alla contestualizzazione e alla resa organica dei mondi della selezione dei film Disney e Pixar presenti nel gioco. Questi infatti, eccezion fatta per “Pirati dei Caraibi” e “Hercules”, sono tutti in computer grafica, dettaglio che evita la snaturalizzazione dei prodotti originali.

È però nel mondo di “Pirati dei Caraibi” che troviamo l’esempio migliore del cambio rendering. La pelle dei personaggi è stata sporcata con sudore e pori della pelle ben visibili, riuscendo a rendere verosimili anche i personaggi cartooneschi all’interno dell’unica ambientazione che più li avrebbe smascherati come estranei alla narrazione.

I nuovi mondi presentano una spazialità ed una verticalità mai vista in KH, riuscendo a dare finalmente l’impressione di essere immersi davvero nei mondi proposti.

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Il gameplay

La modalità di gioco non si discosta eccessivamente dai suoi predecessori e non apporta poi grandi cambiamenti alla giocabilità. Anzi è stata tolta la libertà di personalizzazione ed ora l’interfaccia presenta quattro voci fisse.

Molto interessanti e divertenti sono alcune nuove meccaniche, come ad esempio le fusioni, le quali modificano l’aspetto del keyblade e danno accesso ad un diverso pantheon di mosse e combo. A proposito del keyblade poi, in KH3 è concesso equipaggiarne fino ad un massimo di tre contemporaneamente e cambiarli velocemente durante la battaglia, favorendo strategie di combattimento dinamiche ed adattive.

Presenti nuovamente sono anche le evocazioni, che qui prendono il nome di legami, con una formula un po’ diversa che concede anch’essa un utilizzo strategico: un legame si attiva sacrificando la barra dei PM intera, ma facendolo la squadra recupera tutti i punti salute.

Ci sono poi le attrazioni, eventi temporaneamente accessibili in battaglia ispirati alle giostre dei parchi Disney, capaci di infliggere un gran numero di danni agli avversari. Una novità divertente che aiuta a spezzare un po’ il ritmo serrato di certe battaglie.

Unica pecca del gameplay è l’eccessiva facilità a livello standard o hard. Il grado di difficoltà sale troppo lentamente ed ha un picco brusco ed innaturale verso il finale, nonostante non riesca comunque ad offrire una sfida davvero ardua.

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I mondi

Finalmente i mondi Disney ottengono il giusto spessore. Come evidenziato anche dal nostro Pido in un precedente video analisi del titolo, questi vengono ora utilizzati non come riempitivo, ma come mezzo di raggiungimento di un punto della trama principale: presentano oggetti, persone o elementi d’interesse comune ad entrambe le fazioni, riuscendo a dare l’impressione che Sora, gli eroi del keyblade e i membri dell’organizzazione XIII si muovano attraverso i diversi mondi disponibili come ospiti seguendo un obiettivo.

Nei mondi Disney la storia può riportare fedelmente la trama del film originale (come in Rapunzel) oppure può avere svolgimenti inediti posteriori alla trama (come nel mondo di Big Hero Six), comunque coerenti alle dinamiche del mondo da cui nascono.

La caratterizzazione di ogni mondo e dei personaggi che lo abitano è così fedele che nel mondo di Toy Story, nonostante gli avvenimenti non siano ispirati a nessuno dei film, mi sono sentita perfettamente parte dell’universo dei giocattoli. La sensazione che ho provato è stata come se stessi vedendo Toy Story per la prima volta.

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Permane però un difetto che accompagna la saga dal primissimo capitolo.

Purtroppo, nel caso in cui non si siano visti i film di riferimento, si capisce davvero molto poco della trama, a causa di dinamiche non spiegate e date per scontate. Ho fatto il mio esperimento con Pirati dei Caraibi, della cui serie ho visto solo i primi due film. Mi sono ritrovata in un universo vagamente conosciuto, di cui non ho capito nemmeno la posta in gioco tra i pirati e gli inglesi. Si tratta di una pecca che spezza inesorabilmente e fastidiosamente il ritmo e che si ripresenta anche nel mondo di Rapunzel, dove improvvisamente, senza alcuna spiegazione, la protagonista comincia a chiamare Flynn col nome di Eugene. Il fatto che quest’ultimo sia in realtà il suo vero nome non viene chiarito che alla fine molto frettolosamente.

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La trama e i personaggi

A proposito della trama, bisogna dire che Kingdom Hearts, nonostante alcune superficialità ed alcune sviste, riesce a narrare la storia delle storie. A dimostrazione di ciò, ogni storia Disney presente nell’universo del titolo Square Enix si riallaccia perfettamente alla grande battaglia tra luce ed oscurità, che è da sempre presente in qualsiasi forma di storytelling di qualsivoglia cultura.

Kingdom Hearts esalta il “romanzo di formazione” ed il percorso dell’eroe, marcando fortemente il concetto di ciclicità. Ed è proprio nel concetto di ciclicità che si trova probabilmente la risposta alla scelta di un finale aperto, alla scelta di una saga che punta ad altri vent’anni di lavori e probabilmente altri venti ancora poi.

Ogni personaggio è fortemente strutturato e lascia intendere di avere storie ben più grandi di quelle finora rivelate o messe sul tavolo. I membri della nuova Organizzazione XIII, ad esempio, vengono trattati con quel pizzico di superficialità di troppo che toglie il giusto spazio allo scioglimento di determinate sottotrame, che peraltro accompagnano la saga da troppo tempo per essere semplicemente liquidate nel migliore dei modi.

Detto questo, la storia che ci viene raccontata e quella che si riesce a carpire sono comunque prodotti eccezionali che non tutti oggi sono più in grado di offrire.

In redazione la tendenza principale è stata quella di piangere sul finale e già questo fatto dovrebbe rappresentare una vittoria per qualsiasi narrative director.

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Conclusioni

Kingdom Hearts è un prodotto che va apprezzato molto lentamente, in ogni suo più piccolo aspetto, ogni extra, ed ecco perché sconsigliamo di giocarlo in 30/40 ore.

Disney, Pixar e Square Enix sanno come raccontare una storia, come comunicare una tematica o creare attesa, anticipazione e soprattutto un corposo seguito di appassionati. Non stupisce quindi che siano stati in grado di superare ogni aspettativa insieme e di lasciarci tutti sbalorditi, anche ora che siamo tutti cresciuti.  Stupiscono invece i limiti autoimposti dalle produzioni che allontanano la definizione di capolavoro da Kingdom Hearts 3.

Nonostante gli anni d’attesa, si ricade purtroppo negli stessi difetti narrativi presenti in tutti gli episodi precedenti, che speriamo di veder correggere nei prossimi capitoli di questa bellissima storia, ancora fortunatamente lungi dal terminare.

Possa il cuore essere la nostra chiave guida.

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Kingdom Hearts 3

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9.5

Trama/Ambientazione

9.5/10

Gameplay

9.0/10

Grafica

10.0/10

Sonoro

10.0/10

Longevità

9.0/10

Rebecca Sargo

Sin da piccola, si diletta in ogni genere di scrittura e comunicazione. Divoratrice di libri, manga e videogiochi, è la smanettona social media per Facebook ed Instagram.

Rebecca Sargo

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