21 anni sono un’eternità, soprattutto quando aspetti per tanto tempo di vedere una vecchia combriccola, alla quale sei affezionato, tornare sul grande schermo col titolo di T2 Trainspotting.
Nonostante si tratti di un periodo d’attesa molto lungo, soprattutto se sei nato nel 1992 e hai avuto la “fortuna” di vedere il primo Trainspotting nel 2010, si può anche dire che il gioco valga la candela. Hai dovuto infatti attendere solamente sette brevissimi anni per quel dannato sequel, che arriva nei cinema carico di aspettative.
T2 Trainspotting infatti non rappresenta solamente l’opportunità di vedere nuovamente in azione Rent Boy tornare a casa dopo il tradimento inflitto a Sick Boy, Spud e Francis ma, soprattutto, speri di poter assistere nuovamente ad un film cult che segni una generazione. Se la speranza è diventata realtà lo scopriamo solamente alla fine, quando, al termine della proiezione, si fa ritorno a casa.
Com’era facile immaginare, il film si apre con una carrellata sulla vita dei protagonisti.

Al di là di Mark Renton che già sappiamo essere in Olanda (il film è infatti basato su Porno, il romanzo seguito di Trainspotting) a vivere una vita almeno all’apparenza felice, ci sono un sacco di questioni non risolte da quella fredda mattina in cui il protagonista scappò con 12.000 sterline.
Fortunatamente, le domande che affollano la testa trovano una risposta nei primi minuti del film e ci fanno capire come, inevitabilmente, certe cose sono dure a scomparire: Spud si fa ancora di eroina dopo una breve parentesi di ritorno sulla Terra, Sick Boy è ancora dedito a svariate attività criminali per sopravvivere in un mondo ricco di opportunità non colte e Francis invece ha pagato caro i suoi anni di attività criminale, trovandosi in un carcere di massima sicurezza con oltre vent’anni da scontare.
Nonostante ciò però, oltre le solite “bad habits” dei protagonisti, si nota anche una certa maturazione: i tratti dei personaggi a cui ci siamo abituati non sono scomparsi ma ne emergono di nuovi, segno di una sceneggiatura decisamente matura e coerente con l’arco temporale tra Trainspotting e il suo seguito.
Alla fine però T2 Trainspotting è retto esclusivamente dalle conseguenze che portano Mark a prendere la decisione di far ritorno dall’Olanda, conseguenze che scateneranno un turbine di eventi difficilmente pronosticabile.
Il film però mette a nudo anche il lato oscuro del protagonista, ovvero Mark. La verità è che solamente all’apparenza è il migliore del quartetto ma in realtà è probabilmente il più stronzo di tutti.
Come testimoniato da una scena diffusa qualche settimana fa da Sony Pictures, Mark spiega a Spud che per disintossicarsi dall’eroina è necessario farsi di qualcos’altro, “incanalare l’energia e spostare l’attenzione su una nuova attività”, ma per sua stessa ammissione lui ci è riuscito esclusivamente cambiando città e derubando quelli che definiva i suoi migliori amici. Un lato inquietante, che in molti probabilmente si rifiutano di accettare ma che è lì, presente. E non te lo togli mai dalla testa.
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Nel corso dei suoi 117 minuti, T2 Trainspotting strappa più di una risata, fa riflettere e spinge lo spettatore a chiedersi il perché di tante cose.
Il perché ci sia ancora oggi una grossa percentuale di persone abbandonate a loro stesse, il perché ancora oggi l’eroina vada di moda, il perché ancora oggi anche in un paese del primo mondo come la Scozia esistano realtà tossiche (nel vero senso della parola).
La pellicola infatti non è solamente un sequel ma anche un ritratto (abbastanza fedele) della società e del mondo moderno.
È un manifesto che, se con le immagini prima punta al degrado, con un monologo (abbastanza piatto in realtà) invece ammonisce tutti coloro che usano i social, scelgono un contratto di lavoro standard.
“Scegliete le persone che amate, scegliere il futuro, scegliete la vita”, punta direttamente al nostro cuore, lasciandoci ovviamente intuire che ancora una volta, forse, il mondo ideale non è veramente il meglio a cui dobbiamo ambire.
Sebbene il sequel sia effettivamente romantico e nostalgico, deve comunque adeguarsi a quelli che sono i tempi moderni, lo stile di vita radicalmente cambiato dagli anni ’90 ad oggi. Il bello è che ci riesce senza troppi problemi, adattandosi così a vero e proprio racconto di ciò che viviamo dal 2012 ad oggi.

In realtà, al di là dei monologhi e della storia accattivante e convincente, ci sono due aspetti che portano T2 Trainspotting a ritagliarsi un angolo nel cuore degli appassionati.
La regia, ancora una volta firmata Danny Boyle e la colonna sonora.
Per quanto riguarda la prima, ancora una volta ci troviamo di fronte ad un lavoro decisamente sopra le righe. Boyle si spinge e utilizza svariate tecnica di regia, inquadrature non audaci ma perfettamente funzionanti e si sbizzarrisce con l’utilizzo della camera per simulare la fotocamera frontale di un iPhone 5.
Non siamo davanti al genio più assoluto ma forse non ce n’è neanche bisogno: il lavoro svolto funziona alla grande ed è difficile immaginarsi qualcosa di meglio.
La soundtrack invece evoca momenti collegati direttamente al primo, indimenticabile, lungometraggio ma affianca anche brani nuovi, decisi, che ben si intonano a ciò che stiamo vedendo.
Non è tutto oro ciò che luccica, purtroppo. T2 Trainspotting spicca subito il volo ma si interrompe brutalmente a metà: il ritmo del film è ben scandito ma successivamente crolla e così gli eventi, se prima narrati molto bene, subito dopo vengono velocizzati in maniera incredibile, rendendo poco coerente ciò che si era visto prima.

Il personaggio femminile che affianca Sick Boy manca di originalità: è praticamente una copia della vecchia Dianne, con la differenza che risulta meno carismatica e incide relativamente poco nell’economia del film, salvo verso la fine.
Cosa rimane di questo T2 Trainspotting?
Una bella storia, da guardare in compagnia di chi è fan dei quattro. Un bel manifesto dei tempi moderni, che ci ricorda come in realtà il primo mondo non sia così bello, anzi.
E un grande, grande calcio alla nostalgia: la vecchia combriccola è tornata e, pur essendo invecchiata, non smette di conquistare.
Certo, forse si poteva osare di più, provare a spingersi oltre ma nell’insieme il film ne esce forte, con una solida sceneggiatura, un’ottima regia. Oltre a questo intrattiene, diverte ed è in grado di farci uscire dalla sala soddisfatti.
In un’epoca affollata di cinecomics, musical che diventano film e tante sperimentazioni non necessarie, questo è più che sufficiente.






