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InnerSpace: La Perfezione della Sfera – Recensione

16 Gen 2018 | Recensioni Videogiochi, PC, PlayStation 4, PlayStation 4 Pro, Recensioni, Videogiochi, Xbox One, Xbox One X

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Viaggiare attraverso la perfezione della sfera. Muoversi per ore e ritrovarsi nello stesso punto assaporando non tanto l’inutilità del movimento, quanto la perfezione di un sistema infallibile su cui spostarci e a cui non siamo abituati.

È questo che offre InnerSpace: un’esperienza del tutto nuova che affonda le sue radici in un genere di videogiochi ormai canonico, ma che attraverso l’innesto di interessanti novità nei punti giusti, mira ad essere una vera e propria scoperta in questo nuovo anno appena iniziato.

In questa recensione proveremo ad approfondire i punti di forza e i cardini sui quali verte questo progetto, cercando di capire perché questi sia così maledettamente interessante.

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Sviluppato da PolyKnight Games ed edito da Aspyr, InnerSpace si accaparra il premio di “primo titolo del 2018 che mi ha stupito” (ambitissimo peraltro). La storia narrata all’interno di questo particolarissimo videogame è più importante ai fin del gioco e più profonda di quanto ci si potrebbe aspettare dando un primo sguardo ai suoi (seppur bellissimi) trailer.

Le vicende partono in sordina: lo schermo si illumina e noi scopriamo di non essere altro che una specie di piccolo drone senziente, portato alla “vita” da un misterioso archeologo itinerante, il quale ci ha creato per aiutarlo nelle sue ricerche. Ci troviamo infatti in un luogo chiamato Inverso, abitato un tempo da una società definita genericamente degli Antichi, che aveva fatto fiorire la terra e il mare grazie all’impiego di una forma di energia nota come Vento; ora però gli antichi si sono estinti, l’Inverso è in rovina e il vento ristagna in piccole sacche che ne impediscono il fluire per dare vita ed energia a questo luogo: il nostro compito, come Cartografi dell’archeologo, sarà quello di esplorare queste “lande” per trovare una via di uscita da queste, che ormai sono una sorta di prigione dove le tecniche di tortura dei prigionieri sono Inerzia e Staticità.

La narrazione, come dicevo, si dimostra essere più interessante e profonda di quanto un giocatore disattento (quale il sottoscritto) si può aspettare, e nonostante durante i primi passi del gioco gli eventi narrati possono essere sottovalutati e bollati come “minestrina”, col tempo e l’immersione all’interno dell’avventura, questi si dimostrano ricchissimi di spunti di riflessione, domande provocatorie e momenti di introspezione.

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In quello che è un dramma greco mascherato da giochino colorato, il gameplay che gli sviluppatori propongono al giocatore è basato esclusivamente, magnificamente e totalmente sull’esplorazione. Attraverso gli scenari del gioco infatti saremo chiamati a muoverci per risolvere dei semplicissimi enigmi ambientali e raccogliere il più possibile particelle di vento e reliquie degli antichi, grazie alle quali non solo proseguiremo nella storia, ma potremo sbloccare nuovi bonus per il nostro drone e addirittura diversi telai dalle statistiche diverse. Fare game over è praticamente impossibile, e l’unica situazione in cui li gioco ci costringe a ripartire dall’inizio dell’area è quella nella quale con il nostro velivolo andiamo a scontrarci con troppa frequenza in un breve lasso di tempo contro ostacoli o pareti. Questo, che assolutamente non è un difetto ma anzi un grande esempio di lungimiranza, sarà indispensabile nel caso finissimo incastrati in uno spazio stretto dove, impossibilitati a riprendere il controllo del mezzo dopo un urto, saremmo condannati aveder il nostro veicolo sballottato di parete in parete, senza poter fare nulla.

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Il punto di maggiore forza del titolo però resta senza dubbio il comparto artistico, ed è proprio il fatto che gli sviluppatori siano riusciti a valorizzarlo in maniera così totale che rende InnerSpace una vera e propria rivelazione.

Ogni area che andremo ad esplorare con il nostro drone sarà essenzialmente una sfera, all’interno della quale potremo svolazzare tra le strutture o immergerci nei mari in essa contenuti: l’utilizzo di una grafica minimale accompagnata però da colori brillanti in ogni loro espressione è l’arma vincente che riesce a non stancare il giocatore anche dopo diverse ore di esplorazione, compiute spesso più per piacere personale e desiderio di completiamo, che per necessità di gioco o difficoltà a superare un’area.

Anche la colonna sonora, che ho sottovalutato per buona parte dell’esperienza (oh, quando uno è stupido…), si è dimostrata alla fine un’opera del tutto valida, che mi ha praticamente costretto a chiederle scusa ad alta voce una volta che mi sono scoperto a canticchiarla in momenti non sospetti della giornata.

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Il comparto tecnico di InnerSpace, per ultimo, propone alcuni spunti di riflessione per dettagli che avevo inizialmente bollato come lacune e difetti, ma che, ripensandoci a posteriori hanno perfettamente senso. Se da una parte infatti il titolo gode di una stabilità granitica con alcun calo al frame rate e qualche piccolo rallentamento solo nel momento in cui si comincia un dialogo con l’archeologo (problema che non era presente prima dell’inserimento della traduzione italiana nelle parti scritte), dall’altra colpisce sin dalle prime fasi del gioco con la sua impossibilità di girare la telecamera durante la nostra esplorazione. Questo viene vissuto durante tutto il walkthrough come un limite, ma anche in questo caso, ripensandoci a posteriori la cosa ha un senso logico a livello di coerenza, narrativa e tecnica. Nessuno di noi però è mai stato un drone (o almeno credo) e dire che è sbagliato il modo in cui uno di questi si approccia al mondo è almeno narrativamente supponente; inoltre, parlando seriamente, il fatto che la telecamera vari così totalmente con il nostro sguardo è un espediente che ci permette di avvertire in maniera maggiore non solo quella che è la sfericità degli ambienti, ma anche il fatto che il sistema di riferimento geografico non verte tanto sugli spazi, ma su noi stessi: per fare un esempio, se la torre davanti a noi si erge dal basso verso l’alto, capottando la visuale la torre sembrerà svilupparsi dall’alto verso il basso, ma non apparirà mai capovolta, perché i concetti di “su” e “giù”, in questo sistema si dimostrano totalmente fallaci, poiché come in un cerchio tutti i punti hanno la stessa importanza e nessuno saprebbe dire quale sia il primo e quale l’ultimo, in una sfera scissa da ogni altro sistema di riferimento, il basso, l’alto la destra e la sinistra non esistono. Ora, in un luogo del genere, esplorate ogni anfratto.

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In conclusione, come ho ripetuto più volte in questa recensione, non recitando mai abbastanza il Mea Culpa, InnerSpace si cela dietro un’etichetta di gioco semplice e immediato forte solo di un maestoso impatto visivo, ma così non è. Quei furbacchioni di PolyKnight Games hanno infuso in questo progetto non solo un’estetica magnifica, ma anche una profondità capace di stupire, creando un’esperienza che anche a giorni di distanza dalla sua conclusione riesce a lasciare un bel ricordo, come solo le migliori opere sanno fare.

Lo scopo dell’avventura sarà anche abbandonare l’Inverso, ma godersi ogni scorcio che offre, dopo un così gustoso primo assaggio, è un dovere morale.

*Versione Testata: Playstation 4, grazie al codice fornito dagli sviluppatori

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InnerSpace

7.9

Trama/Ambientazione

8.5/10

Gameplay

7.5/10

Grafica

8.0/10

Sonoro

7.5/10

Longevità

8.0/10

Pro

  • Comparto grafico
  • Storia introspettiva

Contro

  • Telecamera legnosa

Pietro "Pido" Ferri

Deputy Editor di Serial Gamer, viaggia per i Videogames, si guarda in giro, fa foto, respira l'aria. È un po' come un turista, ma nel senso buono. Si interessa con dedizione all'approfondimento di qualunque forma d'arte che riesca a trasmettergli emozioni

Pietro "Pido" Ferri

Deputy Editor di Serial Gamer, viaggia per i Videogames, si guarda in giro, fa foto, respira l'aria. È un po' come un turista, ma nel senso buono. Si interessa con dedizione all'approfondimento di qualunque forma d'arte che riesca a trasmettergli emozioni

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